“Il punto di forza della grande tradizione tessile medievale umbra erano le celebri Tovaglie Perugine: stoffe con fondo bianco, a occhio di pernice o spina di pesce bassa, con fasce colorate in blu e in qualche rarissimo caso anche in color ruggine.
La pianta da blu, il guado, ha origini antichissime. Per almeno cinque secoli, dal Duecento al Seicento, fu coltivato in Valtiberina, soprattutto nell’area intorno a Sansepolcro.
L’originale disegno delle tovaglie ricorda il moto ondoso dell’acqua. I perugini, nel loro dialetto, chiamarono quella figura stilizzata “belige”, per indicare il movimento a bilancia che durante la tessitura facevano i pedali degli antichi telai. Gli ornamenti, concentrati a fasce orizzontali sui lati minori del tessuto, si ottenevano grazie a trame supplementari di cotone bambagioso oppure di misto lino.
Le tovaglie cominciarono ad essere utilizzate nelle chiese medievali del centro Italia soprattutto per abbellire gli altari. Poi, dopo il Quattrocento, l’uso si diffuse tra i nobili e nelle famiglie più ricche, in Toscana, nelle Marche, in ampie zone del centro Italia ma perfino nel nord Europa, in Trentino, in Friuli, nella Carnia e in Sicilia, dove una clientela colta e raffinata ne fece, per almeno due secoli, una sorta di “status symbol” delle classi dominanti.
Così diventarono parte integrante dei corredi. E via via si trasformarono in asciugamani, utili sia per gli usi sacri che per quelli profani, oppure in tende, cuscini e scialli da testa e per le spalle. Qualche volta i tessuti venivano arrotolati per servire da appoggio alle ceste che si portavano sulla testa. Ma secondo le occasioni, fungevano anche da cintura, sacca, bisaccia, stendardo o premio da assegnare nei tornei cavallereschi.”
TRATTO DALLA PUBBLICAZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI PERUGIA, “UMBRIA DELLE MIE TRAME. Tessuti, merletti e ricami: gli itinerari dell’alto artigianato artistico”, testi a cura di Federico Fioravanti