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“Pier de la Pieve. La vita e l’eredità immaginata”: il Perugino a fumetti

“Pier de la Pieve. La vita e l’eredità immaginata” è il titolo del fumetto, nato per i cinquecento anni dalla morte del Perugino, su iniziativa dell’associazione DayDreamers.
La presentazione di questo nuovo prodotto editoriale, che si avvale della consulenza di Stefano Bruscia, guida turistica e già autore della web-serie “Mai Detto – Raffaello”, è in programma per sabato 11 novembre alle ore 16:30 presso il Museo del vetro di Piegaro.
“Per i cinquecento anni del Perugino – spiegano i promotori – su richiesta e supporto delle Amministrazioni comunali, abbiamo ideato la realizzazione di un fumetto che riscrivesse in
parte alcuni momenti della vita dell’artista, focalizzando l’attenzione su piccoli scorci quotidiani che verosimilmente potrebbero essere accaduti, cercando di sorridere un po’. Per questo ci siamo confrontati con Stefano Bruscia. Per le tavole, ci siamo affidati alle mani sapienti di Claudio Ferracci, curatore della Biblioteca delle Nuvole, che ha coinvolto i ragazzi del suo corso di disegno (Elisa Nigi, Luana Cenciaroli, Giuseppe Varriale, Antonella Pedini, Bruna Cutini, Daniele Saini, Marco Paino, Serena Impoco, Donatella Seppoloni, Roberto Fioroni e gli
“outsider” Nikolaj Servettini e Laura Carrettucci). Giocando un poco con la vita di Pietro Vannucci, saltando tra il suo presente e i suoi ricordi, siamo riusciti a dare ad ogni artista piena
libertà espressiva senza però perdere il filo conduttore dell’opera”.
Il fumetto, adattato da Elena Zuccaccia dello studio editoriale Settepiani, ha visto poi la luce grazie all’impegno del Comune di Piegaro e di Sistema Museo.

Dall’ 11 al 26 novembre al Museo del Vetro di Piegaro l’esposizione della tavole realizzate dai fumettisti.

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L’Umbria del Vino 2024: avvio delle iscrizioni al Concorso Enologico Regionale

La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura dell’Umbria, di concerto con la Regione dell’Umbria, con le associazioni di rappresentanza degli agricoltori Coldiretti Umbria, Confagricoltura Umbria e Cia Umbria – Agricoltori Italiani dell’Umbria, con il 3A Parco tecnologico agroalimentare dell’Umbria, con l’Associazione Strade del Vino e dell’Olio dell’ Umbria e con Confcooperative Umbria, promuove il concorso enologico “L’Umbria del Vino”.

Il concorso si propone di:

  • valorizzare l’opera delle aziende vinicole umbre, con particolare riferimento alle medie e piccole realtà, per favorirne la conoscenza e l’apprezzamento nei consumatori nonché rafforzarne la presenza nei mercati;
  • stimolare sempre di più i produttori verso un miglioramento della qualità del prodotto;
  • sostenere lo sviluppo del turismo attraverso la diffusione del patrimonio enogastronomico di eccellenza del territorio.
Il regolamento prevede inoltre che, a salvaguardia delle cantine partecipanti, non siano resi noti i nomi dei partecipanti, ma esclusivamente quelli dei vincitori.

Per partecipare all’edizione 2024 de “L’Umbria del Vino” inviare le domande di adesione tramite mail a Promocamera, l’Azienda Speciale della Camera di Commercio dell’Umbria e Segreteria del Concorso Enologico, all’indirizzo promocamera@umbria.camcom.it  dal 1 novembre al 4 dicembre prossimi.

Ulteriori informazioni e la documentazione per partecipare scaricabile qui.

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Lo zafferano in cucina, conservazione,modi d’utilizzo e accostamenti

Una piccola scorta di zafferano permette di avere a portata di mano una spezia pregiata da utilizzare in preparazioni particolari, ma anche in piatti semplici resi d’alta cucina dalla sua presenza.
Ma la delicatezza dello zafferano impone alcune regole. Deve essere, prima di tutto, conservato in contenitori di vetro o terracotta o altro materiale ad uso alimentare, con chiusura ermetica, riposto in luogo asciutto, al riparo da luce e umidità, per mantenerne le caratteristiche organolettiche e le proprietà antiossidanti.
Perché il suo aroma si sprigioni al meglio è consigliabile preparare un’infusione, ponendo gli stimmi in poco liquido caldo qualche ora prima dell’utilizzo e aggiungere, salvo che la ricetta preveda diversamente, l’infuso verso fine cottura.
Ingrediente della cucina mediterranea, ma non soltanto, annovera tra i suoi estimatori grandi gastronomi ed esperti cuochi. Apicio aveva già posto il croco tra i “pimenti” che reputa assolutamente necessari in cucina per realizzare ogni tipo di condimento. Tanti i ricettari medievali e rinascimentali in cui compaiono preparazioni a base di zafferano, re della cucina quattrocentesca di Maestro Martino da Como e di quella cinquecentesca di Cristoforo da Messisburgo.
L’Umbria in questo campo vanta i taccuini di Suor Maria della Verde, risalenti alla fine del Cinquecento, ritrovati e fatti diventare libro “ dell’ultimo ‘500”, assai importante per la storia della cucina italiana, da Giovanna Casagrande, e nel quale lo zafferano è l’aroma più utilizzato.
Un interesse proseguito fino a noi, con tante preparazioni. La spezia conferisce aroma e sapore ad alcuni formaggi tradizionali, dal “fiore molle di Leonessa” al Bagoss di Bagolino, al Piacentinu di Enna aromatizzato con zafferano selvatico, ma, prima di tutto, all’Oro di Cascia, formaggio preparato ad Opagna, secondo un’antica ricetta locale. Lo zafferano è ingrediente anche di importanti ricette italiane, come il
risotto alla milanese, gli arancini palermitani, la siciliana pasta con le sarde, in Sardegna insaporisce i malloreddus, il ripieno della gallina e l’agnello. Valorizza pasta e riso, carne e pesce, verdure e uova, dolci. È tra gli ingredienti di alcune ricette di vermut e di liquori. Tra questi non si può non citare lo Strega, il liquore di Benevento creato nel 1860 che tra i suoi ingredienti vanta la presenza dello zafferano. In commercio si trovano anche prodotti aromatizzati allo zafferano come pasta, olio e miele.

Dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “L’Umbria dello Zafferano

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Il tartufo tra storia e leggenda…Un viaggio nel tempo

Le leggende sul tartufo risalgono a quasi 5000 anni fa. Sumeri e Babilonesi lo consideravano un dono magnifico che gli dei avevano fatto agli uomini. Si cibavano della “Tarfezia Leonis”, un tipo di tartufo che ancora oggi possiamo trovare nelle aride regioni
dell’Asia Minore. Anche gli Ebrei lo usavano nella loro dieta. E pare che nell’antico Egitto il faraone Cheope (2.600 a.C.) ordinasse banchetti con decine di chili di tartufi cotti con grasso d’oca.
Chi ne intuì per primo le celebri proprietà afrodisiache, per le quali sarà in seguito tenuto in altissima considerazione, fu il grande filosofo e matematico greco Pitagora (ca. 570-495 a.C.), al quale vengono attribuite le parole: “Se vuoi essere virile, mangia tartufi”.
Ma la più antica memoria storica autentica proviene dagli studi naturalistici di Teofrasto di Ereso (371-287 a.C.), allievo di Aristotele, al quale si deve la prima classificazione dei funghi. Secondo Teofrasto, i tartufi scaturivano dall’incontro tra le piogge autunnali e
il tuono. La loro particolare natura ipogea li fa chiamare idnon, nascosti, da cui nacque il termine idnologia, la scienza che li studia. La loro ricercatezza crebbe a tal punto che gli Ateniesi concessero la cittadinanza ai figli di Cherippo, che avevano creato la famosa ricetta di un pasticcio tartufato. Anche Plutarco ne era affascinato: per lui quel fungo nascosto nasceva dall’azione combinata dei fulmini, dell’acqua e del calore.
Il tartufo compare nella Roma repubblicana di Cicerone (106-43 a.C.), che lo menziona come “figlio della Terra”. Le sue tracce si fanno più evidenti nell’età imperiale, quando diventò protagonista indiscusso dei ricercati convivi di Marco Gavio Apicio (25 a.C. – 37 d.C.) che Seneca definiva un “crapulone”.
Nerone ne parlava come “cibo degli dei”. Alla corte dell’ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, c’era anche il medico e botanico greco Dioscoride (ca. 40-90 d.C.), che si occupò del tartufo nel De materia medica, un’opera erboristica che influenzò in modo profondo la storia della medicina. Ma la più accurata analisi scientifica dei tartufi, del I secolo dopo Cristo, è senz’altro quella riportata nella Naturalis Historia (XIX, 11-13), in cui Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) li definisce “callo di terra”.
Buoni e misteriosi. I tartufi, raccolti soprattutto in Africa, non mancavano mai nei fastosi banchetti di Lucullo. Marziale (40-104) nei famosi Epigrammi li considera per bontà secondi solo ai porcini. E Giovenale (ca. 55-127), autore delle Satire, scrisse che preferiva
la mancanza di grano a quella dei tartufi. Raccontò che avevano origine da un fulmine scagliato da Giove ai piedi di una quercia, pianta sacra al padre degli dei. Più tardi, il famoso medico Galeno (129-216) i cui principi hanno dominato la medicina europea per oltre mille anni, li prescriverà come stimolanti, osservando che “il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà”.
Nel Medioevo i tartufi vennero equiparati agli alimenti magici e peccaminosi. Il tartufo nero era considerato “sterco del diavolo” e cibo delle streghe, poiché si credeva prolificasse nelle vicinanze di nidi di serpenti, tane di animali velenosi e carne putrefatta di cadaveri. Ma anche in questo periodo storico non mancarono gli estimatori. Che usavano molta fantasia per giustificare il consumo di un cibo quasi proibito. Papa Gregorio IV ad esempio, è ricordato per essere stato ghiotto del nobile fungo, di cui ufficialmente faceva uso per compensare le energie spese nel fronteggiare la minaccia saracena. E Sant’Ambrogio (ca. 340-397), letterato, alto prelato e patrono della città di Milano, ringraziò il primo vescovo di Como, San Felice, per i tartufi, di stupefacente grandezza che gli aveva regalato.

Dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Black & White – Di quale tartufo sei? STORIE, LEGGENDE, CURIOSITÀ

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GNOCCHI ALLO ZAFFERANO

Ingredienti per 10 persone: 1 kg e 500 g di gnocchi di patate, 0,25 g di zafferano in stimmi, 5 cucchiai di ricotta, 2 bicchieri di latte (il latte può essere sostituito da un bicchiere di acqua), 1 bicchiere di olio extravergine di oliva, sale, parmigiano grattugiato.

Sminuzzate gli stimmi, anche servendovi del mortaio o con le mani, sulla carta stagnola,quindi poneteli nel latte tiepido, preferibilmente 3 o 4 ore prima dell’uso.

Amalgamate la ricotta con il latte, quindi ponete in una padella abbastanza grande da contenere anche gli gnocchi, l’olio e il latte dove sono stati sciolti lo zafferano e la ricotta e fate cuocere per 10-15 minuti, salando durante la cottura, fino a quando non si sarà formata una crema.

Unite gli gnocchi lessati nel frattempo in abbondante acqua salata e ben scolati e il parmigiano, amalgamate bene e servite.

VARIANTE: si possono aggiungere, durante la cottura della crema, zucchine già cotte in olio e acqua e/o dadini di prosciutto crudo e/o prosciutto cotto e/o salsiccia rosolati a parte.

La ricetta è proposta dalla Associazione Zafferano Terre D’Arna consultabile nella pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia L’Umbria dello zafferano consultabile qui.

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Forre del Rio Grande: sui passi di San Francesco a Valfabbrica

Una serie di itinerari ispirati al percorso intrapreso da San Francesco quando, nel 1207 subito dopo la sua spoliazione pubblica sulla Piazza di Assisi, partì dalla sua casa per giungere a Gubbio.
L’occasione per incamminarsi lungo un sentiero ancora selvaggio, immerso tra i boschi tipici dell’Umbria: oltre 40 chilometri suddivisi su diversi percorsi da godersi a piedi, in bicicletta o a cavallo.
Il tutto completato da un panorama appagante, che fu dello stesso Francesco, estimatore attento e profondo della natura, riflesso del volto di Dio.

Ecco uno degli itinerari più suggestivi e più interessanti sia a livello paesaggistico che vegetativo.
A confine fra il comune di Valfabbrica e di Assisi il torrente “Rio Grande” ci offre un paesaggio ancora incontaminato dalla presenza umana, caratterizzato da una formazione vegetativa costituita prevalentemente da specie arboree ed arbustive tipiche della macchia mediterranea. Le numerose specie termofile qui presenti ci fanno capire che sia a livello geologico che a livello climatico ci troviamo in una sacca atipica della zona preappenninica dove è presente un microclima anomalo, ma grazie a questo ed alla morfologia accidentata dal terreno, le forre del Rio Grande offrono all’attento e rispettoso visitatore uno scenario unico per la sua bellezza.

Arrivati a Valfabbrica (SS. 318) per chi viene da Perugia in prossimità dell’inizio del paese, lasciare la statale e girare a destra e seguire l’indicazione Strada Francescana-“Pieve S. Nicolò.

Dopo 150 mt. circa e dopo aver attraversato un ponticello, percorrere altri 40 mt. e girare a destra ignorando la strada in salita che lasciamo alla nostra sinistra. Da qui percorrere circa 600 mt. fino ad arrivare alla località il Pioppo. Qui la strada si biforca aggirando un bellissimo casale ristrutturato. Prendere a sinistra per la strada bianca, costeggiando il torrente Rio Grande. Dopo circa 1 Km troviamo sulla nostra destra una stradina bianca che attraversando il torrente tramite un ponticello si immette in un fitto sottobosco. Ignorando questa, a circa 10 mt. da questo incrocio possiamo vedere che la strada gira bruscamente a sinistra iniziando a salire. In prossimità di questa curva lasciare la macchina e proseguire a piedi.

Seguendo il sentiero che costeggia il torrente Rio Grande prendere sempre verso sinistra per circa 300 mt. dopo aver attraversato una radura incolta e pianeggiante. A questo punto sembra che il sentiero finisca, ma così non è, superando una piccola scarpata alla nostra destra ci troveremo di fronte ad un agevole guado, attraversato questo seguire sempre il sentiero che costeggia il torrente. Attraversando una seconda radura il paesaggio già da questo punto del sentiero ci appare in tutta la sua bellezza. Circondati da lecci (Quercus ilex) piante arboree sempre verdi tipiche della macchia mediterranea: Spartium iunceum (ginestra), Citisus scoparius Junipertib oxicedrus (ginepro rosso), Smilax aspera (straccia brache). Ci rendiamo conto che in pochi metri percorsi siamo passati da un ambiente vegetativo caratterizzato dal Lauretum freddo ad un ambiente del Lauretum caldo, tipico delle coste tirreniche. Quello che la natura ha fatto in questa zona è veramente unico ed irripetibile.

Seguendo il sentiero lungo il torrente, dopo circa 10 minuti di cammino ci troviamo di fronte ad una mulattiera scavata sulla roccia alla nostra sinistra. mentre alla nostra destra il sentiero diventa sempre più sfatto e ci costringerà ad effettuare un altro facilissimo guado. Ignorando la mulattiera di sinistra (si fa notare che la strada termina dopo appena 20 mt.) si prende il sentiero di destra e da questo punto in avanti seguendo il sentiero principale e seguendo il torrente ci troviamo nelle forre del torrente Rio Grande.
Descrivere il sentiero qui non è facile anche perché la morfologia impervia della zona impedisce dì chiudere il percorso ad anello; quindi usando la massima cautela, risalendo il torrente, ci troveremo di fronte a delle gole che rendono alquanto difficile il proseguo del cammino, quindi a questo punto si consiglia di ritornare indietro percorrendo il sentiero in senso inverso.

TEMPI
Due ore circa