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IL GRIFO DI PERUGIA

Passeggiando per le vie di Perugia è facile incontrare, sotto varie forme, il Grifo, lo stemma cittadino, che raffigura appunto la creatura leggendaria per metà leone e per metà aquila.

La tradizione racconta che furono gli etruschi, antico popolo presente anche in terra umbra, a portare il grifo in Italia: il suo mito si ritrova infatti raffigurato su urne, sarcofagi e bassorilievi rinvenuti nei reperti.

Questo simbolo venne poi assunto dal Comune di Perugia sin dal Medioevo, tramite i membri delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri che avevano il consenso a farne uso nei loro stemmi.

Racconti favolosi narrano poi che nelle campagne tra Perugia e Narni scorrazzasse un grifo che facesse incetta di animali domestici, con grave danno per tutti gli abitanti. Le due comunità, mettendo da parte le antiche rivalità, iniziarono una vera e propria caccia, per liberarsi del temuto incursore.

La bestia venne catturata, e i due gruppi di contendenti presero ciascuno una parte del grifo come trofeo: lo stemma di Perugia è il grifo bianco, cioè la pelle, in campo rosso, mentre lo stemma di Narni è il grifo rosso, cioè il corpo scuoiato, in campo bianco.

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IL RICAMO DI PIETRA DEL DUOMO DI ORVIETO

 

 

“La meravigliosa facciata del Duomo di Orvieto è il ricamo di pietra al quale si ispirano le artiste del merletto orvietano.Il rosone è l’occhio che dà vita alla cattedrale.

E non ha eguali in nessuna chiesa d’Europa: al contrario di tutti gli altri templi ha infatti 22 raggi. Le membrature e i motivi ornamentali ogivi sono disposti in doppio giro, intorno alla testa del Redentore.

È opera del fiorentino Andrea di Cione, detto l’Orcagna, che lo realizzò tra il 1354 e il 1380. Ma forse la rosa iscritta in due cornici quadrate fu pensata da Andrea Pisano.

Di sicuro, tanta bellezza colpì Raffaello, che riprodusse i 22 raggi del rosone orvietano nel celebre affresco L’incendio di Borgo dipinto nel 1514 in una delle Stanze Vaticane.”

 

Tratto dalla pubblicazione della Camera di Commercio di PerugiaUmbria delle mie trame” testi a cura di Federico Fioravanti

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LE TOVAGLIE PERUGINE E CATERINA DE’ MEDICI

Nei corredi delle signore dell’aristocrazia europea non potevano mancare i tessuti dell’Umbria, icona di un gusto ormai consolidato.

Non stupisce quindi trovare la citazione delle “tovaglie e pannili perugini” nell’inventario della dote che Caterina de’ Medici portò con sé quando andò in sposa al re di Francia Enrico II. La regina fiorentina adorava ricamare, tanto che si diceva lo facesse anche durante gli incontri politici di alto livello. Al suo nome è legato quel Punto Madama riscoperto centinaia di anni dopo, come specifico della tradizione regionale.

TRATTO DALLA PUBBLICAZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI PERUGIA, “UMBRIA DELLE MIE TRAME. Tessuti, merletti e ricami: gli itinerari dell’alto artigianato artistico”, testi a cura di Federico Fioravanti

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Il “saper fare” si impara

 

“… Il Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco, un museo vivo. Nel quale le testimonianze, i saperi ricevuti in eredità e le competenze si trasmettono. Così le persone si incontrano e si sperimenta un “saper fare”.

Alla fine della visita si può anche portare via un prodotto realizzato con le proprie mani. Ma soprattutto si vede tessere, su telai manuali a leve frontali o a pedali.

E la visita guidata diventa esperienza pratica. Oltre a reintrodurre e a dare nuova vita a tecniche e conoscenze che altrimenti sarebbero andate perdute, il museo rilegge e reinterpreta l’uso della canapa, attraverso i corsi di tessitura rivolti sia agli adulti che ai bambini.

E apre nuove strade artigiane, di grande rilievo anche dal punto di vista socio-economico.”

TRATTO DALLA PUBBLICAZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI PERUGIA, “UMBRIA DELLE MIE TRAME. Tessuti, merletti e ricami: gli itinerari dell’alto artigianato artistico”, testi a cura di Federico Fioravanti

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Il re dei costumi

“… Nel Museo del Costume e del Tessuto Antico  di Spoleto c’è un re dei costumi da scoprire: Enrico Sabbatini.

Nacque a Spoleto nel 1932. Morì in Marocco nel 1998, in un incidente stradale mentre lavorara alla fiction tv “Cleopatra”.

Iniziò vestendo Sofia Loren in “C’era una volta…” di Francesco Rosi. Poi un lungo elenco di celebri film: “Amanti” e “I Girasoli” di De Sica; “In nome del popolo italiano” di Risi; “Sacco e Vanzetti” e “Giordano Bruno” di Montaldo; “Mosè” di De Bosio e il “Gesù” di Zeffirelli. Collaborò con Rosi anche in “Cadaveri eccellenti” e “Cristo si è fermato a Eboli”. E con Scola in “Una giornata particolare”. Per Young lavorò a “Linea di sangue” e per Annaud a “Sette anni in Tibet”.

“Mission” di Roland Joffé, gli valse la nomination all’Oscar nel 1986.”

TRATTO DALLA PUBBLICAZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI PERUGIA, “UMBRIA DELLE MIE TRAME. Tessuti, merletti e ricami: gli itinerari dell’alto artigianato artistico”, testi a cura di Federico Fioravanti

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La leggendaria collezione di merletti di Arnaldo Caprai

“… Di virtuale c’è l’esposizione. Trine, ricami, libri, macchine, utensili e accessori sono reali, in entrambe le accezioni del termine: concreti e degni di appartenere a un regnante. E Arnaldo Caprai, uno dei grandi capitani dell’industria dell’Umbria, può essere ben definito il re dei merletti.

La sua raccolta conta oltre 25.000 pezzi. La più importante collezione museale privata delle arti tessili esistente al mondo. Una collezione da visitare prima di tutto on-line come, dove e quando fa più comodo su www.museocaprai.it. Per soffermarsi con calma non solo su pizzi e bordure (oltre cinque secoli di storia dal Rinascimento fino alla prima metà del Novecento), ma anche su settori quali filatelia e numismatica e su creazioni frutto dell’indissolubile legame fra cultura e artigianato artistico. Come i trenta meravigliosi rosoni di pietra delle più celebri chiese sparse in tutto il mondo che la Caprai ha realizzato in merletto: da Assisi a Milano, da Vienna a Colonia, fino a Chartres, Valencia e New York.

La continua ricerca di nuove forme divulgative della propria Collezione ha portato l’azienda Caprai ad avvalersi, al passo con i tempi, delle più evolute tecnologie, conservando il rigore scientifico che da sempre l’ha contraddistinta. Dopo il Museo Virtuale delle Arti Tessili con le sue 14 stanze dedicate alla storia del merletto, oggi la collezione è presentata attraverso una mostra virtuale, ambientata in una delle dimore storiche più belle dell’Umbria. Dal titolo “Tradizioni di matrimonio e d’amore”, la mostra racconta sentimenti e passioni di ogni tempo attraverso ventagli, fazzoletti, bordure, doni d’amore e gioielli, in un viaggio che coinvolge città e personaggi che hanno fatto la storia del merletto e del costume.

Un museo dove c’è spazio per tutto. Dalle godibili note di approfondimento alle curiosità, che arricchiscono l’esplorazione con aneddoti e racconti particolari.

Usanze legate alle straordinarie vicende di tante merlettaie.

Una di loro maneggiava i fuselli a velocità sorprendente e la sera, davanti al lume, poneva una bottiglia piena d’acqua per concentrare la tenue luce sul lavoro come una lente d’ingrandimento. Richieste bizzarre: Luigi XIV, che avrebbe mandato un commesso a Venezia con l’incarico di farsi realizzare un collo da eseguire ad ago con finissimi capelli bianchi, per indossarlo il giorno dell’incoronazione. E leggende romantiche, come quella della giovane merlettaia che ricevette in dono da un marinaio un ramo di corallo e, colpita da tanta bellezza, pensò di riprodurlo nei suoi lavori ad ago, creando la tecnica del Punto Corallo. O aforismi snob, fra i quali quello di Madame de Stael, capace di distinguere da un movimento del ventaglio, sempre e rigorosamente di pizzo, la principessa dalla contessa oppure la marchesa dalla popolana. C’è anche un’arca di filo nel museo: una selezione di lavori che rivelano ed evidenziano, grazie ad un sofisticato sistema di rendering, figure zoomorfe simboliche, allegoriche e mitologiche. Finestre aperte su dimensioni parallele tutte da sognare.

Ma il Museo delle Arti Tessili di Arnaldo Caprai è soprattutto un mezzo virtuale che fornisce testimonianze tangibili: l’enorme patrimonio culturale, lo splendore dell’arte tessile e l’amore di un collezionista. Cuciti insieme, a confezionare un intrigante e affascinante mondo fatto di merletto. “

TRATTO DALLA PUBBLICAZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI PERUGIA, “UMBRIA DELLE MIE TRAME. Tessuti, merletti e ricami: gli itinerari dell’alto artigianato artistico”, testi a cura di Federico Fioravanti

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Un concorso per ricamare l’Umbria

“… Arte e ambiente sono gli elementi che qualificano l’Umbria.

Ricarmarli, un’ammirevole iniziativa della Scuola di Ricamo di Valtopina. Il concorso “Ricamare l’Umbria”, nato per valorizzare e promuovere la divulgazione dei tesori della regione, ha proposto negli anni tematiche diverse: l’olio, il vino, il grano, il Medioevo con i suoi rosoni e portali, la ceramica, l’arte lignea, l’ambiente dei suoi parchi, senza dimenticare San Francesco e i suoi Fioretti, Giotto e i suoi colori, il medico Castore Durante e il suo erbario.

In una sfida di fantasia e perizia tecnica, le partecipanti, ispirate dalla tradizione iconografica, realizzano opere attuali di grande artigianato artistico, che vanno ad arricchire il fondo moderno del Museo del Ricamo di Valtopina.”

TRATTO DALLA PUBBLICAZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI PERUGIA, “UMBRIA DELLE MIE TRAME. Tessuti, merletti e ricami: gli itinerari dell’alto artigianato artistico”, testi a cura di Federico Fioravanti

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Vino e frasi celebri…curiosità

Se i vini eccellenti esaltano le gioie della tavola, quelli cattivi le avvelenano.  La Bibbia stessa consiglia l’uso moderato del vino. Eccone alcuni versetti: “il vino bevuto con sobrietà è una seconda vita” ed ancora: “il vino è stato creato per il benessere dell’uomo e non per l’ubriachezza”.Perciò “non rimproverare il tuo prossimo quando beve del vino e non disprezzarlo se si rallegra”.

San Paolo raccomanda l’uso del vino ammonendo che “il bere vino in modica misura fa bene allo stomaco”.

Parlano bene del vino San Matteo, San Marco, San Giovanni. Molti sono i Santi protettori della vite e del vino: da San Vincenzo a San Giovanni, da Sant’Ubaldo a San Martino, da San Teodato a San Barnaba.

Poeti, filosofi, oratori e letterati in genere, in molti celebrano il vino come ambrosia che eccita la fantasia, ravviva l’intelligenza, sveglia la riflessione, accende l’immaginazione.

Alceo di Mitilene, elegante poeta lirico greco, canta il vino come conforto agli affanni ed antidoto alla malinconia. Anacreonte, Pindaro, Bacchilide, Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, Socrate, Demostene, Epicuro, Pluterco, un fiume di vino irrora l’intelligenza di questi grandi uomini dell’antica Grecia.

Catullo, poeta dell’amore, afferma che “il vino, per essere dono completo, deve essere asciutto e senza acqua”. Cicerone preferisce il falerno vecchio di 40 anni. Virgilio invoca Bacco all’inizio del libro secondo delle Georgiche.

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Quando a Perugia si coniava il denaro…

L’attività dei cambiatori nel Medioevo è legata principalmente al denaro e, dunque,alla Zecca.

La creazione di una Zecca a Perugia ha conosciuto vicende molto complesse. Sappiamo che tra il XXII e XIII secolo circolavano in città monete coniate soprattutto in zecche toscane come Pisa, Siena e Lucca con un indiscusso primato del denaro lucchese; solo con la metà del Duecento si verifica un declino della moneta lucchese sostituita dagli anconetani e ravennati e da un pluralismo monetario fino ad allora sconosciuto.

Ancora alla metà del secolo si assiste alla diffusione del doppio sistema della moneta grossa e della moneta piccola; della prima fanno parte il fiorino grosso d’argento, ma soprattutto il fiorino e il ducato d’oro. Tali monete sono utilizzate ben oltre i confini della città e in cui vengono coniate: le troviamo anzi soprattutto nel commercio internazionale e nelle transazioni finanziarie più importanti.

A fronte della moneta grossa, la moneta piccola, di cui l’esempio tipico è rappresentato dal denaro, ha densa circolazione, seppur limitata al mercato locale, al piccolo commercio e al pagamento dei salari.

Sarà proprio il denaro la prima unità di moneta coniata dalla Zecca perugina, impiantata da due zecchieri lucchesi che stipulano con il Comune un contratto che nell’immediato non dà i risultati desiderati; solo con il trecento, grazie sempre a zecchieri e cambiatori toscani, la Zecca entrerà in funzione, anche se non continuativamente, coniando monete grosse d’argento e monete parve ovvero il denaro coni suoi multipli (il quattrino e il sestino).

Le due monete hanno diversa fortuna: il denaro raggiunge una netta prevalenza rispetto ad altre unità forestiere dello stesso conio, mentre la moneta grossa d’argento deve dividere il mercato con monete di altre città e soprattutto con il fiorino che nel Medioevo ed oltre non ha rivali sul mercato dei cambi.

Tratto da Storia illustrata di Perugia di M.Grazia Nico Ottaviani – Camera di Commercio di Perugia

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Le Arti nel medioevo a Perugia

Alla fine del Duecento in Perugia molte sono le attività organizzate in Arti o corporazioni che, prendendo a modello il Comune, hanno propri statuti e un proprio organigramma costituito da un camerlengo coadiuvato da più rettori, un consiglio, massari, talvolta un proprio tribunale dove si dibattono cause coinvolgenti i propri iscritti. Il primo interrogativo che gli studiosi si sono posti è relativo alla quantificazione del numero delle Arti a perugia. Annibale Mariotti (medico ed erudito settecentesco) compilò nel 1786 un elenco delle Arti perugine basato sullo spoglio delle matricole (cioè dell’elenco degli iscritti) appartenenti ad epoche diverse; il numero di numero di quarantaquattro arti da lui indicato è stato poi confermato da studi successivi se pure sulla base di documenti diversi. Altro tema è quello della gerarchia delle Arti, generalmente distinte in “grosse” e “minute” (o “maggiori” e “minori”) secondo un criterio che tiene conto di più elementi: la consistenza economica e numerica degli associati, la collocazione di ogni professione all’interno del processo produttivo e del mercato urbano, la maggiore o minore partecipazione dei suoi aderenti alla vita politica. tale gerarchia è legibile in un capitolo dello statuto in volgare del 1342 dove si parla di “luminarie” ovvero delle solenni processioni per le feste di Sant’Ercolano e della Vergine, processioni nelle quali le Arti sfilavano dietro le autorità cittadine secondo un ordine non casuale, bensì sicuramente gerarchico, stabilito in base ai parametri sopra detti: almeno nel 1342 gli iscritti al Cambiosfilano subito dietro quelli della Mercanzia e immediatamente prima della “Calzolaria”, e poi seguono tutte le altre.

La maggioranza delle Arti lavora per il mercato locale e solo poche (i cambiatori, i mercanti non specializzati, gli artigiani lanieri e i calzolai) si spingono fuori dalla regione o addirittura all’estero approfittando della favorevole posizione della città che, situata lungo l’asse commerciale toscano tra Ancona e Arezzo, Firenze, Pisa, riesce a inserirsi nello spazio internazionale.

Le Arti godono in Perugia di una vita molto lunga a motivo del sistema politico vigente che assicura l’accesso al governo della città solo agli iscritti, se pure non “esercitanti” il mestiere; per cui in età moderna si assisterà al fenomeno dell’iscrizione in massa della nobiltà delle Arti, anzi i collegi delle due >Arti di maggiore prestigio, di origine più antica, con un raggio di interessi più vasto e con un maggior peso economico, ovvero Mercanzia e Cambio, diventeranno i “collegi nobili di Perugia” sui quali l’aristocrazia eserciterà un vero “monopolio”, istituzionalizzato nel XVII secolo e protrattosi fino alla soppressione decretata da Pio VII nel 1801.

Tratto da Storia illustrata di Perugia di M.Grazia Nico Ottaviani-  Camera di Commercio di Perugia