Piccole curiosità e qualche consiglio per impreziosire ed esaltare la nostra tavola, perchè anche questa è un’arte!!
Il linguaggio dei fiori e le decorazioni della tavola
Dulcis in fundo: e si finiva con….marzapane e confetti
Piccole curiosità e qualche consiglio per impreziosire ed esaltare la nostra tavola, perchè anche questa è un’arte!!
Il linguaggio dei fiori e le decorazioni della tavola
Dulcis in fundo: e si finiva con….marzapane e confetti
Ci sono molti racconti su San Francesco legati all’uva ed al vino. Uno di questi narra che, per ascoltare il poverello di Assisi una folla di gente si riunì in una vigna di proprietà di una chiesa. Il parroco però era preoccupato della presenza di così tanta gente. San Francesco se ne accorse e disse: “Padre mio, quante some di vino mvi rende la vostra vigna nelle annate migliori?” – “Dodici, fratello” – “Le avrete, non preoccupatevi.” Al momento della vendemmia il prete mise nel tino i pochi grappoli superstiti e da questi sgorgò miracolosamente vino a non finire. San Francesco aveva mantenuto la promessa.
Quando si offriva da bere si doveva riempire il bicchiere, altrimenti ci “ballava” il diavolo.
Medicina popolare: nel caso di tosse stizzosa, i rimedi più efficaci sono il miele, il latte caldo, caramelle d’orzo, oppure vino caldo.
Nelle domeniche di carnevale, in campagna, gruppi di giovani ed anziani si mascheravano ed andavano di casa in casa. Suonavano l’organetto, il cembalo e ballavano il saltarello sull’aia. Le massaie come compenso offrivano uova, lardo, salsicce che uno della comitiva infilzava sullo spiedo. Alla fine si offriva loro un bicchiere di vino che spesso veniva accompagnato da un brindisi.
In occasione del Sabato Santo, nelle chiesine di campagna, si benedivano le pizze (le crescie di Pasqua), il vino, il pane, le uova e il salame. Questi cibi si mangiavano a colazione la mattina di Pasqua.
Il Lunedì dell’angelo era il giorno tradizionale per “prendere Pasqua”. Si andava al Santuario di santa maria degli Angeli (assisi) o in qualche convento di frati. Al ritorno, in campagna, si giocava a bocce e si assaggiava insieme la “Vernaccia”.
Nel territorio di Torgiano è ancora attuale l’usanza dei “fuochi”. La notte della vigilia di San Giorgio (23 aprile) venivano e vengono ancora accesi fuochi propiziatori in mezzo alle vigne. L’usanza è estesa a tutto il per territorio perugino, è menzionata anche dal Piccolpasso nel 1565. Essa ricorda un rito pagano (i fuochi venivano accesi tra le vigne per evitare che i parassiti attaccassero le viti), anche se la coincidenza, in molti paesi, con il giorno in cui si celebrala festa del santo, esprime una valenza magico-protettiva.
Agli inizi di novembre si teneva, e si ripete tutt’ora, a Spello la “Fiera de le Fantèlle” (detta anche firiòla). Era nota per il bestiame e la merce di ogni genere. caratteristica era la presenza di donne di campagna che portavano a vendere l’uva secca in una canestra di vimini. Secondo la tradizione popolare l’origine ed il nome di questa fiera deriva dal fatto che tre ragazze da marito (fantelle) avevano stabilito un giorno per portare al mercato i prodotti di campagna (uva secca, pollame ecc.); il ricavato doveva servire per acquistare il corredo. Secondo alcuni la spiegazione del nome è nell’usanza che le ragazze, soprattutto di campagna, partecipavano numerose alla fiera per farsi conoscere da eventuali pretendenti.
Terminata la vendemmia passavano le “graspulajòle” per raccogliere qualche grappolo d’uva lasciato dal contadino. Erano munite di un canestro e di una pertica che terminava con una V rovesciata, con la quale afferravamo i grappoli per riporli nel canestro. Terminata la “raccolta”, la famiglia, generalmente bisognosa, poteva ricavare una certa quantità di vino.
…d’altri tempi, ma non sempre.
I mesi dell’anno attraverso proverbi locali dal gusto di…vino.
Gennaio
“Chi magna l’ua lu primu dell’anno, manigghja li quatrini tutto l’anno” (Chi mangia l’uva il primo dell’ano farà buoni affari)
“Vino e-mmèle doventa fèle” (Si dice di due cose, che pur essendo buone non possono stare insieme)
Febbraio
“Febbraio: vino, balli e cuore gaio”
“Finito carnoale, finito amore, da la botte de lo vino ce vène lo fiore” (E’ un modo scherzoso per salutare la fine del carnevale)
Marzo
“Chi nel marzo non pota la vigna perde la vendemmia”
“Le cèrque ‘n pòzzono fa-ll’ua”
(Si dice di persona da cui non si può pretendere molto)
Aprile
“Acqua di aprile ogni goccia un barile”
Maggio
“Se grandina di maggio ruba vin pane e formaggio”
“Lo vino bòno ‘n cià bisugno de la frasca”
(Quando una cosa è buona non ha bisogno di essere reclamizzata)
Giugno
“La notte di San Giovanni (24 giugno) entra il mosto nel chicco”
“Ome de vino, n’ vale ‘n quatrino” (Chi eccede nel bere non gode di alcuna fiducia)
“Si-ppiòe pe’ Santo Barnabà l’ua bianca se ne va; si-ppiòe la mattina e la sera se ne va la bianca e la nera”
(E’ credenza che nel giorno di S.Barbara, l’11 giugno, la durata della pioggia comprometta, in parte o tutto, il raccolto dell’uva)
Luglio
“Luglio caldo e bagnato acino stento e incenerato”
“L’acqua fa male, lo vino fa cantare” (Meglio due sbornie di vino che una di acqua)
“Pane de ‘n gnòrnu e-vvino de n’anno” (Pane fresco e vino invecchiato)
“‘N te mette ‘n cammino se la bocca ‘n te puzza de vino” (Prima di iniziare la fatica del cammino si consiglia di bere un “bicchjrittu” di vino)
Agosto
“Quando pioe d’agosto, pioe mè le e-mmosto”
“Quando piove ad agosto piove miele e piove mosto” (La pioggia di agosto fa bene all’uva ed incrementa la fioritura delle erbe da cui le api trarranno il nettare)
Settembre
“Se in settembre senti tornare, tini e botti puoi preparare”
“Pe’-ssettembre: l’ua è-ffatta e lu ficu pènne”
(Settembre è il periodo in cui maturano l’uva e i fichi)
Ottobre
“Ottobre: vino e cantina da sera a mattina”
“Ramu curtu, vellegna lunga” (Per una buona vendemmia il potatore deve lasciare il traliccio corto)
Novembre
“Pe’ San Martino ‘gni musto doventa vino”
“Per San Martino ogni mosto è vino” (Da questo giorno, il vino nuovo si considera maturo per essere bevuto)
“‘Nto la botte piccola ci sta lo vino bòno” (E’ un complimento che si fa ad una persona di bassa statura)
Dicembre
“Natale ogni vino è uguale”
I rossi in bicchieri a calice un pò panciuti, di vetro o cristallo incolore, trasparentissimo e terso anche nel gambo e nel piedistallo: uno dei pregi, infatti, del vino è costituito dal suo colore naturale, ed una delle gioie, prima di degustarlo, è proprio quella di ammirarne la brillantezza, la trasparenza e la limpidezza. dunque bicchieri a calice, con l’orlo piuttosto espanso.
Gli spumanti, anziché nella classica coppa ormai in disuso, si servono in bicchieri alti di nitido cristallo incolore, a forma di tulipano (il Flute francese) più facili a maneggiarsi, più adatti per conservare il caratteristico frizzante. Per i vini liquorosi, bicchieri panciuti tipo Napoleone.
Di regola le temperature migliori che debbono avere i vini, sono 14-16 gradi centigradi i rossi giovani, 18-20 gradi i vecchi, 8-12 gradi i bianchi giovani, 12-14 quelli invecchiati e profumati, 6-8 gli spumanti, 10-12 i rosati.
Se i vini eccellenti esaltano le gioie della tavola, quelli cattivi le avvelenano. La Bibbia stessa consiglia l’uso moderato del vino. Eccone alcuni versetti: “il vino bevuto con sobrietà è una seconda vita” ed ancora: “il vino è stato creato per il benessere dell’uomo e non per l’ubriachezza”.Perciò “non rimproverare il tuo prossimo quando beve del vino e non disprezzarlo se si rallegra”.
San Paolo raccomanda l’uso del vino ammonendo che “il bere vino in modica misura fa bene allo stomaco”.
Parlano bene del vino San Matteo, San Marco, San Giovanni. Molti sono i Santi protettori della vite e del vino: da San Vincenzo a San Giovanni, da Sant’Ubaldo a San Martino, da San Teodato a San Barnaba.
Poeti, filosofi, oratori e letterati in genere, in molti celebrano il vino come ambrosia che eccita la fantasia, ravviva l’intelligenza, sveglia la riflessione, accende l’immaginazione.
Alceo di Mitilene, elegante poeta lirico greco, canta il vino come conforto agli affanni ed antidoto alla malinconia. Anacreonte, Pindaro, Bacchilide, Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, Socrate, Demostene, Epicuro, Pluterco, un fiume di vino irrora l’intelligenza di questi grandi uomini dell’antica Grecia.
Catullo, poeta dell’amore, afferma che “il vino, per essere dono completo, deve essere asciutto e senza acqua”. Cicerone preferisce il falerno vecchio di 40 anni. Virgilio invoca Bacco all’inizio del libro secondo delle Georgiche.
Il buon vino, se bevuto in dosi moderate, soddisfa non soltanto gli organi più sensibili del nostro organismo, cioè vista, olfatto e gusto, per il colore, per la trasparenza, i delicati o aggressivi profumi, le caratteristiche organolettiche che lo distinguono; ma apre spesso al palato orizzonti di soavità e dona grande conforto allo stomaco facilitando quasi sempre la digestione.
Dona poi buon umore, spinge all’ottimismo, alla socievolezza ed alla sincerità.
Il vino deriva dalla fermentazione dei grappoli maturi – che sotto il bacio ardente del sole sembrano stillare lacrime di gioia – fermentazione che ce lo dona con un’infanzia tumultuosa, un’adolescenza vivace, una maturità vigorosa, una vecchiaia spesso maestosa, in quanto nell’invecchiamento i vini classici (soprattutto rossi) esaltano le loro caratteristiche più pregevoli di gusto, profumo e squisitezza.
Generalmente il vino si consuma a tavola, come complemento e completamento dei cibi, e lo si beve a sorsi, lentamente, gradualmente, non a garganella. Il vino e senz’altro il miglior condimento dei cibi, l’esaltatore delle loro caratteristiche di finezza e bontà, sempre che si sappia armonizzare al gusto delle vivande; anzi il vino è la parte spirituale del pasto in quanto lo nobilita e o rende più confortevole e gradito.
Da ciò detto: un pasto senza vino è come una giornata senza sole.
Gli Etruschi abitavano questa terra sin dall’antichità, occupando la sponda destra del Tevere; su quella sinistra, invece, viveva il popolo degli umbri. Nel 395 a.C. i Romani si imposero su Umbri, Etruschi, Galli e Sanniti, prendendo possesso della regione.
Dopo la sconfitta del console Flaminio sul Lago Trasimeno ad opera dei Cartaginesi di Annibale, Perugia offrì rifugio alle truppe romane in ritirata e Spoleto si oppose ai nemici. Alla caduta dell’Impero Romano queste terre subirono gli assedi e le devastazioni barbariche, soprattutto le città situate sulla strada di Roma, per la loro importanza strategica. I Longobardi crearono il potente ducato di Spoleto.
L’età comunale fu un momento di grande splendore per l’Umbria, nonostante le rivalità e le continue lotte tra i vari comuni. In quest’epoca troviamo figure di condottieri leggendari come il Gattamelata, Braccio da Montone, Niccolo Piccinino.
Dal 1540 fino alla fine del ‘700 la regione fu sotto il dominio dello Stato della Chiesa. Durante la dominazione napoleonica divenne il dipartimento del Trasimeno sino al 1860, quando l’Umbria fu annessa al Regno d’Italia.
Per quanto riguarda la viticoltura, i primi cenni storici derivano da Plinio il Vecchio, nella sua opera enciclopedica, «Naturalis Historia». Reperti archeologici come anfore vinarie, vasche o patene fanno risalire indietro nel tempo all’epoca etrusca.
Del resto la configurazione orografica, la natura dei terreni e le condizioni climatiche offrono alla vite un habitat ottimale. Ogni valle è ben protetta da gruppi montagnosi sparsi nel territorio e la piovosità è ben distribuita nel corso dell’anno. Normalmente le precipitazioni sono abbondanti durante i mesi freddi e le estati sono assolate senza, però, che i vigneti subiscano effetti devastanti dalle temperature eccessive e dalla siccità.
II Còttabo era una sottile asta metallica alta circa 6 piedi (metri 1,80), che eretta su base propria, veniva posta al termine dei banchetti in mezzo alla Sala.
A metà dell’altezza dell’asta vi era, in posizione orizzontale, un piattello o disco che serviva a bilanciare il peso. Sulla sommità dell’asta vi era una figurina di bronzo, sul capo della quale, veniva posto, in bilico, un altro piccolo disco.
I banchettanti, in posizione semisdraiata su dei letti, uno alla volta, lanciavano il vino, contenuto in una piccola coppa infilata ad un dito, in modo da colpire, col getto parabolico del liquido, il dischetto mobile e farlo cadere dal sostegno provvisorio.
Se il disco cadeva scivolando lungo l’asta del Còttabo andava a colpire il piattello fisso a metà dell’asta, provocando un acuto suono argentino. Alla riuscita del gioco erano legati gli auspici di ciascun convitato e del suo futuro specialmente amoroso.Si ritiene il gioco originario della Sicilia e di là introdotto in Grecia ed in Etruria.
Molti sono i Còttabi di bronzo rinvenuti in Etruria tra suppellettili sepolcrali. Alcuni si trovano nel Museo Etrusco Romano di Perugia.
Per il Cristianesimo il vino divenne simbolo di vita ed il rito della Messa salvò, durante il periodo del Medioevo, la cultura della vite che si era andata totalmente estinguendo, con la caduta dell’Impero Romano e la discesa dei barbari.
Benedettini e Cistercensi rimpiantarono i vigneti e tra di loro si possono annoverare i primi enologi. Il monachesimo portò la coltivazione della vite ai massimi livelli produttivi e, non solo in Italia, i frati si occuparono di questa importante coltivazione, ma essa si estese soprattutto in Francia ed in Germania.
San Benedetto da Norcia dettò una regola particolare, completamente al di fuori della stretta osservanza monastica e, cioè, ordinò che il vino venisse ammesso in tavola ad ogni pasto, e non solo durante la celebrazione della Messa, molto moderatamente, come una delle basi dell’alimentazione umana.
La coltivazione della vite diventa una fonte di reddito, sia pure modesto, che può sopperire alla povertà del monastero. Essa è posta sotto il diretto controllo del «praepositus pri-mus», cioè il religioso di grado più alto dopo l’Abate.
Più tardi il vino acquista una funzione determinante nell’accostamento con il cibo, poiché i grandi testi di gastronomia, che vengono editi dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, arrivata in Italia nel 1471, offrono consigli per unire in armonioso connubio ciò che si mangia con ciò che si beve.