A lungo lo zafferano, come ci raccontano numerosi documenti, fu gravato da pesanti tasse doganali per il suo grande valore, tanto che in molti casi questa spezia veniva utilizzata come moneta. Molte le regole che lo proteggevano, legate in alcuni casi a un mondo ormai scomparso: in alcuni statuti erano previste pene per i proprietari di maiali che fossero andati nelle coltivazioni a scavare per cibarsi dei bulbi, di cui pare fossero particolarmente ghiotti.
Tanti, ci raccontano le antiche carte, i furti di zafferano da campi e abitazioni e anche le truffe. Tra le preferite dai cerretani quella del “cagnabaldi”, che, attestata a fine Quattrocento, ricorda molto certe tecniche dei nostri giorni: consisteva nel sostituire un sacco di zafferano appena acquistato da uno speziale con uno identico pieno di fieno, che veniva lasciato in pegno con la scusa di cambiar moneta.
Altre truffe avevano come protagonisti gli abitanti di Cascia.
E sempre in quegli anni si racconta di un pretore di Cascia, che prestava soldi ai cittadini, con la complicità della moglie, e si faceva pagare gli interessi, a tassi non proprio bassi, in zafferano.
Dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “L’Umbria dello Zafferano”