ceccarelli

Il primo libro sui tartufi fu scritto dal più grande falsario del Cinquecento

Ma fu un altro umbro, il bevenate Alfonso Ceccarelli, a scrivere il primo, vero libro sul tartufo che si conosca. Incredibile e pirotecnico personaggio fu, secondo Pierre Toubert, “il più inventivo falsario del Rinascimento”. La Roma cinquecentesca, dove lavorò come
medico personale della sorella di papa Giulio III, fu il gran teatro delle sue gesta.
Accusato di aver manomesso testamenti e genealogie nobiliari, documenti dell’imperatore e scritti del pontefice, fu a lungo torturato.
Si difese abilmente sostenendo che così facevan tutti e sciorinò i nomi di illustri storici dell’epoca. Non bastò: piegato dal dolore,
confessò e fu decapitato a Castel Sant’Angelo.
Regalava antenati illustri a chi non li aveva e, come accadeva all’epoca, si dilettava anche di astrologia, fabbricando oroscopi su misura per molte dame della nobiltà romana e personaggi della curia, compresi alcuni eminenti cardinali.
Ma il poliedrico Alfonso Ceccarelli, che pagò con la vita le sue malefatte, era prima di tutto un medico che esercitò con riconosciuta capacità la professione in molte località dell’Umbria prima di emigrare altrove e lasciare a casa moglie e prole. Confessava di
avere “un cervellaccio che cape molte cose” e infatti nutriva una grande curiosità per svariate discipline, dalle scienze naturali alla botanica, senza trascurare la numismatica e la storia.
Scrisse il libro sui tartufi, Opusculum de tuberibus, inedito trattato al mondo di idnologia, quando aveva 32 anni. Fu la sua prima opera. Infarcita di citazioni, fantasiose pezze d’appoggio e partigiana nei gusti, come quando assicura che è Bevagna uno dei luoghi
migliori per il tartufo in Umbria.
Ma il piccolo volume, pubblicato nel 1564 e suddiviso in 19 capitoli, è il primo libro che affronta l’argomento dei tartufi in modo scientifico, dal nome all’aspetto, dalla nascita alla riproduzione, dalla semina agli aneddoti, fino agli abbinamenti alimentari. Riassume le opinioni di naturalisti greci e latini. Soprattutto, in un latino elegante, Alfonso disquisisce a lungo sulla vera natura dei tartufi “se radici, frutti o piante intere”. E spiega, grazie ad una meticolosa rassegna bibliografica, come gli antichi già conoscessero le proprietà
del meraviglioso frutto della terra.
Insiste anche sul fatto che possano essere seminati, con una tecnica che somiglia a quella dei nostri giorni, cospargendo il suolo con terra umida mista ad altri tartufi finemente triturati. Ne decanta l’aroma, una “quinta essenza” che provoca nell’uomo una specie di estasi.
Il medico di Bevagna racconta di un cercatore di Cerreto capace di trovare tartufi a vista e di un maiale che, nella stessa zona, “trovava con muso i luoghi dove nascevano i tartufi”. Alfonso parla, in anticipo sui tempi, pure del rapporto di un certo tipo di mosche
con il tartufo e della loro conseguente azione diserbante che in epoca recente risulterà essere dovuta alla azione del micelio.
E i tartufi più buoni? Va da sé che per Ceccarelli, “i più lodati tra tutti nascono in Umbria in più luoghi, ma quelli che vengono estratti nell’agro spoletino sono i più raffinati, profumati e ottimi”.
Concordava con lui anche Luigi Ferdinando Marsili, un diplomatico bolognese, viaggiatore e scienziato, che a metà del Seicento, studiò il tartufo nero dell’Umbria e lo descrisse interrogando chi lo raccoglieva, in molti paesi della regione. I suoi manoscritti inediti,
con quasi cinquanta disegni a colori, sono ora conservati nella biblioteca universitaria di Bologna. 

Tratto dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Black & White-Di quale tartufo sei? STORIE, LEGGENDE, CURIOSITÀ

raccolta tartufo

Un dilemma per giuristi: di chi sono i tartufi?

Altro che diavolo. Il tartufo anche nell’Età di Mezzo era il “cibo degli dei” di cui già parlava Nerone. Anche se all’epoca lo apprezzavano soprattutto le classi popolari. Allora a tavola e nella società, era comunque importante che ciascuno rimanesse al suo posto. Le
gerarchie sociali corrispondevano a quelle naturali. Gli alimenti più nobili e quindi adatti alle tavole dei gentiluomini, erano quelli che si potevano trovare in alto, come gli uccelli o i frutti degli alberi. Le risorse del sottosuolo erano giudicate più vili e quindi destinate
alla povera gente.
Ma le abitudini cambiarono in fretta, come ricorda Francesco Francolini, eminente studioso di agraria, che agli inizi del Novecento fece nascere la prima cattedra di Agricoltura a Spoleto. Scrisse con un certo orgoglio: “Antichissima fama godono i nostri tartufi. Già
fin dagli ultimi anni del Quattrocento”.
Forse per questo, già allora il loro valore cominciò ad aumentare. Una ricchezza della natura, a portata di mano, che in Umbria è stata sempre ben chiara a tutte le classi sociali.
Tanto da alimentare polemiche continue e regolamenti stringenti sulle regole della raccolta.
Un quesito fondamentale ha diviso da sempre le assemblee comunali, i cittadini e i tanti “cacciatori”: i tartufi sono di chi li trova o dei proprietari dei terreni dove nascono?
Dipende. Il tartufo bianco pregiato, in Umbria come altrove, storicamente è di chi lo scova per primo. Forse perché le tartufaie sono invisibili e spesso sconosciute anche ai proprietari.

Per il tartufo nero il diritto di cava, per secoli, è stato invece delle comunità che abitano il territorio. Con mille distinzioni. Al tempo del ducato longobardo di Spoleto, ad esempio, le terre private non esistevano e la raccolta era libera. Poi le cose cambiarono.
La professione del “tratufano”, il cercatore dell’oro dell’Umbria, nacque qualche secolo dopo. La prima traccia è in un documento contabile dell’ordinamento finanziario di Spoleto, la Tabula exitus, expanse et introitus del 22 agosto del 1400, nel quale venivano
annotate le merci che entravano ed uscivano dalla città. Già allora i tartufi erano preziosi: per smerciarli fuori dal territorio bisognava pagare dazio:”un denaro per libra”.
Gli abitanti dei paesi di montagna cominciarono a proteggere in vari modi il prezioso prodotto della loro terra. Innanzitutto vietandone la raccolta a chi veniva da fuori. Il paese di Orsano, per esempio, proibiva severamente la cava dei tartufi a chi non era del posto “sotto pena de bolognini a qualunque contraffarà et della perdita de quanti tartufani li saranno trovati”.
Lo Statuto di Cerreto di Spoleto non solo vietava agli “stranieri” la raccolta dei tartufi ma anche la caccia e la pesca. Così come quello di Vallo di Nera. A Scheggino i tartufi appartenevano per legge ai proprietari dei terreni dove crescevano. Ma i fortunati abitanti
del paese, che avevano il senso degli affari, cominciarono presto ad affittare le tartufaie con innegabili benefici.
La raccolta era vietata “ai forensis” anche a Ponte, piccola frazione di Cerreto, come attesta lo Statuto del 1572.

Dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Black & White – Di quale tartufo sei? STORIE, LEGGENDE, CURIOSITÀ” 

Scheggino

Tartufi regalati per non pagare le tasse e farsi visitare dai medici

Nel XVI secolo il valore dei tartufi divenne un bene comune, da condividere. In quasi tutte le zone vocate dell’Umbria, le tartufaie venivano affittate al miglior offerente ed i ricavi venivano poi reinvestiti in servizi collettivi.
Così il tartufo assunse anche un ruolo sociale: divenne un segno tangibile dell’identità stessa del territorio. Un cibo prezioso, capace di riunire la gente, non solo a tavola.
In molti casi gli abitanti di Norcia e dei territori circostanti cedettero il diritto di escavazione alla Chiesa, in cambio della esenzione completa delle tasse oppure per assicurarsi dei servizi religiosi.
La salute, come ricordano i proverbi, è la cosa più importante. E grazie ai tartufi gli abitanti di Sellano per lungo tempo pagarono i servizi medici, veterinari ed ostetrici.
Senza dimenticare di scambiare il privilegio del “diritto di cava” con la cancellazione della odiosa tassa sul bestiame.
La fama dei giacimenti di tartufo dell’Umbria aveva travalicato i confini del territorio.
La conferma letteraria arriva dai versi di Pierfrancesco Giustolo, l’umanista spoletino, nato nel 1440, che per anni servì Cesare Borgia e tra una trattativa diplomatica e l’altra trovò anche il tempo di scrivere il De Croci Cultu, un poemetto sullo zafferano, nel quale,
parlando della sua terra, ricordava con fierezza: “E di tartufi abbonda/che di sovente col verace grifo/scava la porca la non rara prole”.
Zafferano e tartufi erano i gioielli alimentari che le città dell’Umbria offrivano come graditissimi doni nelle complesse schermaglie diplomatiche tra i signori del Rinascimento, quando l’assassinio era legalizzato pure a tavola ed erano necessari gli assaggiatori di
professione per poi apprezzare, con la dovuta calma, i piaceri del cibo. In mancanza di veleni, di fronte a tanta abbondanza, c’era però anche il rischio di morire di indigestione.
Si dice che Lucrezia Borgia, signora di Spoleto e di Foligno, che soggiornò in Umbria almeno tre anni, amasse particolarmente i tartufi anche per le note virtù afrodisiache. La storia la ricorda come una irresistibile seduttrice. Forse non era così bella. Morì a meno
di 40 anni, dopo otto parti ed una vita ricca di colpi di scena. Ma la sua passione per i preziosi tuberi contribuì ad alimentare la leggenda erotica del nobile fungo ipogeo. I sudditi spoletini la accolsero nella munita Rocca di Albornoz con un pranzo memorabile,
di 14 portate quasi tutte a base di tartufo.
E così, per i ricchi dell’epoca, il tartufo diventò in fretta un vero “status symbol”. Con l’imprimatur scientifico che già da tempo aveva dato Platina: “È un eccitante della lussuria.
Perciò è servito frequentemente nei pruriginosi banchetti di uomini ricchi e raffinatissimi che desiderano essere meglio preparati ai piaceri di Venere”.
Insieme a lui e dopo di lui, tutti i medici italiani del tempo concordavano sul potere afrodisiaco dei tartufi.

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ciarlatano

Tartufi…Gli elisir d’amore venduti nelle fiere dai “cerretani”

I ciarlatani preparavano elisir d’amore all’essenza del tartufo nero che poi vendevano dappertutto. E di tartufi se ne intendevano come forse nessun altro. Anche perché il termine stesso di ciarlatano viene da “cerretano” e indica gli abitanti di Cerreto, che ancora
oggi è una delle piccole patrie del fenomenale tubero.
Quei personaggi che affollavano le fiere di tutta Europa, maghi, occultisti, imbonitori, pranoterapeuti, astrologi ed alchimisti, partiti dalla sperduta Valnerina, salivano su improvvisati sgabelli e richiamavano le folle dei mercati con plateali azioni dimostrative e
abili artifici retorici.
Il tartufo, che fin dall’infanzia era parte naturale della loro dieta alimentare, di colpo era diventato l’ingrediente ricorrente di medicamenti miracolosi, capaci di curare l’impotenza o di risuscitare la lussuria.
Per Castore Durante, umbro di origine, famoso botanico del Cinquecento, che fu anche medico del papa, quei funghi potevano stimolare gli appetiti venerei proprio perché “hanno sapore di carne”.
Secondo lui, addirittura avevano sessi diversi: i neri erano maschi e i bianchi femmine. E anche se era nato a Gualdo Tadino, zona ancora oggi famosa per il “tuber magnatum Pico”, le sue idee sull’argomento erano quantomeno singolari. Nella sua opera più
famosa, Il tesoro della Sanità, un vero e proprio trattato di dietetica, dice addirittura che “son composti di sostanze più terrestri che acquose e son privi d’ogni sapore”. Propone anche di usarli come deodorante e metterli “nelle cassapanche per dare ai vestiti il loro non ingrato odore”. E consiglia di cuocerli “in teglia con sale, pepe, olio e succo d’arancio” oppure, dopo averli lavati bene con il vino, di scaldarli “sotto la cenere”. Raccomanda anche che “si faccino bollire in brodi grassi con cannella, e appresso si beva buon vino e puro”.
Nella mistica Umbria anche le suore perdevano la testa per i tartufi. La scrittrice Giovanna Casagrande ha scovato negli archivi di un convento perugino una ricetta, poi riportata nel libro Gola e preghiera nella clausura dell’ultimo ’500, nella quale le monache consigliano di servire l’alimento afrodisiaco insieme alle melangole, le arance amare che si raccoglievano a gennaio: “Pulisci e friggili nell’olio: fa delle fette sottili e quando l’olio bolle mettili dentro aggiungendo del sale. Non ce li tenere troppo perché si induriscono.
Servili cospargendoli di pepe e succo di arance”.

Dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Black & White – Di quale tartufo sei? STORIE, LEGGENDE, CURIOSITÀ

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Salsa al tartufo alla maniera di Cascia

 

Ingredienti per 4 persone: tartufo nero 150 – 200 g, 500 g di pomodori pelati, 4 acciughe sotto sale, olio extravergine d’oliva, uno spicchio d’aglio, sale.

Pulite, asciugate e tritate i tartufi, o, meglio, pestateli nel mortaio.Dissalate e diliscate le acciughe e fatele a pezzetti molto piccoli. Versate in un padellino poco olio e fateci dorare lo spicchio d’aglio, sbucciato e schiacciato.Quando l’aglio sarà dorato toglietelo dal padellino e lasciateci sciogliere le acciughe a fuoco basso, quindi unite il tartufo grattugiato, mescolate per un attimo e togliete dal fuoco.A parte fate cuocere il pomodoro passato con poco sale per una mezz’ora, quindi regolate di sale, togliete dal fuoco e unite i tartufi tritati.

Questa salsa, adatta a condire fettuccine e spaghetti,ma, se il pomodoro è ben addensato, ottima anche per bruschette, finiva in tavola in particolar modo nella cena della vigilia di Natale di famiglie numerose e povere,che la preparavano impiegando poco tartufo e tanto pomodoro.

Tratta dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia Black / White Di quale tartufo sei? – Ricette e Consigli

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Pappardelle all’uovo al tartufo

Ingredienti: 400 g di pappardelle fresche all’uovo, 30 g di funghi porcini secchi della Valnerina, 50 g di tartufo nero, 70 g di prosciutto di Norcia Igp, 200 g di panna fresca, 200 g di latte, 50 g di burro.

Tritate il prosciutto e i funghi fatti rinvenire in acqua tiepida e ben strizzati, quindi fateli rosolare nel burro, unite panna e latte, fate cuocere a fuoco basso. Versate nella padella le pappardelle lessate e scolate, unite il tartufo pestato e il parmigiano, mescolate e servite.

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Agnolotti in salsa al tartufo bianco

Ingredienti per 4 persone: 600 g di agnolotti freschi, 150 g di tartufi bianchi freschi, qualche cucchiaio di di olio extravergine d’oliva, qualche cucchiaio di pecorino umbro grattugiato, sale e pepe.

Lessate gli agnolotti, scolateli e versateli in una padella dove avrete fatto riscaldare a fuoco basso l’olio.

Mescolate, unite il pecorino aggiustate di sale e pepe.

Fate insaporire per due o tre minuti, togliete dal fuoco, coprite con i tartufi a lamelle sottilissime, mescolate e servite.

 

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Tagliatelle verdi con sugo di lepre, tartufi e funghi

Ingredienti per 4 persone:

30 g di lardo, una cipolla piccola, un gambo di sedano, una carota, un ciuffo di prezzemolo, una lepre tagliata a piccoli pezzi, 300 g di funghi freschi, 500 g di pomodori pelati, 500 g di tagliatelle fresche verdi, tartufo bianco, vino bianco secco, sale, pepe.

Preparate un battuto con lardo, cipolla e sedano, carota e prezzemolo. Fate soffriggere, unite la lepre ben frollata e tenuta a bagno in vino per farle perdere l’eccessivo aroma “selvatico”, fate rosolare e irrorate di vino.

Lasciate evaporare, salate, pepate, unite il pomodoro e fate cuocere a fuoco basso, unendo, mezz’ora prima di ritirare dal fuoco, i funghi. Regolate di sale e pepe e dopo un minuto togliete dal fuoco.

Mettete da parte i pezzetti di lepre, che potrete servire come secondo.

Unite al sugo di cottura il tartufo bianco tagliato a scagliette, mescolate e conditeci le tagliatelle lessate nel frattempo.

Servite con parmigiano a parte.

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Filetto di chianina al tartufo bianco

 

Ingredienti per 4 persone: 800 g di filetto di vitello di chianina in tranci, tartufo bianco, olio extra vergine d’oliva, 40 g di burro, 200 g di panna fresca, farina, sale.

Infarinate i tranci di filetto su tutti e due i lati, con l’accortezza di cospargere di farina anche il bordo della fetta di carne. L’ideale è avere fette alte circa 3 centimetri. Mettete sul fornello una padella o un tegame antiaderente e coprire il fondo con olio extravergine d’oliva. Una volta scaldato l’olio, che non deve friggere, cuocere i pezzi di filetto da un lato. Rosolati per qualche minuto si girano con la pinza, evitando di rovinare l’infarinatura, e si salano. Continuate la cottura per ancora 8 – 10 minuti, con l’accortezza di girare la carne una volta sola. Togliete i filetti dalla padella e lasciateli riposare nei piatti da portata. Sul fondo di cottura, aggiungete quattro noci di burro, la panna fresca e una spolverata di lamelle di tartufo per insaporire. Muovete con un cucchiaio di legno per un minuto e, una volta amalgamato, cospargete di salsa i tranci di filetto sistemati nel piatto in precedenza. Grattate sulla carne così preparata profumate lamelle di tartufo bianco, fuori dal fuoco, e servire in tavola.

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Frittata al tartufo nero di Norcia

Ingredienti per 6 persone: 9 uova, 100 g di tartufi, poco vino bianco secco, olio extravergine d’oliva, sale, pepe.

Battete in una terrina le uova, conditele con sale e un pizzico di pepe, unite il tartufo grattugiato e mescolate bene. Scaldate in una padella l’olio e versatevi il contenuto della terrina. Muovete continuamente la padella per evitare che le uova si attacchino e, quando la parte inferiore si sarà rappresa, rigirate la frittata, spruzzatevi il vino e portate a cottura. Servite la frittata ben calda.

Tratto dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Black /White – Di quale tartufo sei? – Ricette e Consigli