Nonostante i grandi cambiamenti innescati nel mercato moderno del 1800, l’Umbria (come in generale tutta l’Italia) rimane un territorio a vocazione rurale fino a buona parte del secolo successivo. Nei primi anni del ‘900 in ogni casa padronale si trovava il bestiame ed ogni contadino era anche allevatore. I bovini erano utili alla lavorazione dei campi poi, una volta invecchiati, buoni da macellare. I suini destinati al consumo di carne fresca o alla produzione di salumi, rappresentavano un’importante riserva di cibo per tutto l’anno. Nelle città più popolose c’era il mercato del bestiame, dove dalle campagne confluivano i contadini per la compravendita degli animali.In quegli anni il macellaio era una figura altamente specializzata.A lui spettava selezionare, nelle stalle o al mercato, i migliori capi da portare al macello. E una volta macellati doveva essere abile nel conservare le mezzene (prima degli anni cinquanta non era ancora diffuso il frigorifero), vendere prima le parti più facilmente deperibili e tagliare con assoluta maestria i tranci al banco.Una professione che i più giovani imparavano con il lavoro quotidiano nelle botteghe.In città la filiera delle carni, che iniziava in genere il martedì al mattatoio comunale,scandiva la dieta settimanale delle famiglie: il mercoledì si mangiavano le frattaglie (quelle che rischiavano di andare a male prima), il giovedì le carni da sugo e le bistecche, il venerdì di vigilia ci si asteneva per preferire il pesce.Sabato e domenica erano i giorni in cui rimanevano per ultimi i grossi tagli,si preparavano i bolliti.
Tratto dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “L’Umbria delle Carni” consultabile integralmente qui.