Per il Cristianesimo il vino divenne simbolo di vita ed il rito della Messa salvò, durante il periodo del Medioevo, la cultura della vite che si era andata totalmente estinguendo, con la caduta dell’Impero Romano e la discesa dei barbari.
Benedettini e Cistercensi rimpiantarono i vigneti e tra di loro si possono annoverare i primi enologi. Il monachesimo portò la coltivazione della vite ai massimi livelli produttivi e, non solo in Italia, i frati si occuparono di questa importante coltivazione, ma essa si estese soprattutto in Francia ed in Germania.
San Benedetto da Norcia dettò una regola particolare, completamente al di fuori della stretta osservanza monastica e, cioè, ordinò che il vino venisse ammesso in tavola ad ogni pasto, e non solo durante la celebrazione della Messa, molto moderatamente, come una delle basi dell’alimentazione umana.
La coltivazione della vite diventa una fonte di reddito, sia pure modesto, che può sopperire alla povertà del monastero. Essa è posta sotto il diretto controllo del «praepositus pri-mus», cioè il religioso di grado più alto dopo l’Abate.
Più tardi il vino acquista una funzione determinante nell’accostamento con il cibo, poiché i grandi testi di gastronomia, che vengono editi dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, arrivata in Italia nel 1471, offrono consigli per unire in armonioso connubio ciò che si mangia con ciò che si beve.