Le leggende sul tartufo risalgono a quasi 5000 anni fa. Sumeri e Babilonesi lo consideravano un dono magnifico che gli dei avevano fatto agli uomini. Si cibavano della “Tarfezia Leonis”, un tipo di tartufo che ancora oggi possiamo trovare nelle aride regioni
dell’Asia Minore. Anche gli Ebrei lo usavano nella loro dieta. E pare che nell’antico Egitto il faraone Cheope (2.600 a.C.) ordinasse banchetti con decine di chili di tartufi cotti con grasso d’oca.
Chi ne intuì per primo le celebri proprietà afrodisiache, per le quali sarà in seguito tenuto in altissima considerazione, fu il grande filosofo e matematico greco Pitagora (ca. 570-495 a.C.), al quale vengono attribuite le parole: “Se vuoi essere virile, mangia tartufi”.
Ma la più antica memoria storica autentica proviene dagli studi naturalistici di Teofrasto di Ereso (371-287 a.C.), allievo di Aristotele, al quale si deve la prima classificazione dei funghi. Secondo Teofrasto, i tartufi scaturivano dall’incontro tra le piogge autunnali e
il tuono. La loro particolare natura ipogea li fa chiamare idnon, nascosti, da cui nacque il termine idnologia, la scienza che li studia. La loro ricercatezza crebbe a tal punto che gli Ateniesi concessero la cittadinanza ai figli di Cherippo, che avevano creato la famosa ricetta di un pasticcio tartufato. Anche Plutarco ne era affascinato: per lui quel fungo nascosto nasceva dall’azione combinata dei fulmini, dell’acqua e del calore.
Il tartufo compare nella Roma repubblicana di Cicerone (106-43 a.C.), che lo menziona come “figlio della Terra”. Le sue tracce si fanno più evidenti nell’età imperiale, quando diventò protagonista indiscusso dei ricercati convivi di Marco Gavio Apicio (25 a.C. – 37 d.C.) che Seneca definiva un “crapulone”.
Nerone ne parlava come “cibo degli dei”. Alla corte dell’ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, c’era anche il medico e botanico greco Dioscoride (ca. 40-90 d.C.), che si occupò del tartufo nel De materia medica, un’opera erboristica che influenzò in modo profondo la storia della medicina. Ma la più accurata analisi scientifica dei tartufi, del I secolo dopo Cristo, è senz’altro quella riportata nella Naturalis Historia (XIX, 11-13), in cui Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) li definisce “callo di terra”.
Buoni e misteriosi. I tartufi, raccolti soprattutto in Africa, non mancavano mai nei fastosi banchetti di Lucullo. Marziale (40-104) nei famosi Epigrammi li considera per bontà secondi solo ai porcini. E Giovenale (ca. 55-127), autore delle Satire, scrisse che preferiva
la mancanza di grano a quella dei tartufi. Raccontò che avevano origine da un fulmine scagliato da Giove ai piedi di una quercia, pianta sacra al padre degli dei. Più tardi, il famoso medico Galeno (129-216) i cui principi hanno dominato la medicina europea per oltre mille anni, li prescriverà come stimolanti, osservando che “il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà”.
Nel Medioevo i tartufi vennero equiparati agli alimenti magici e peccaminosi. Il tartufo nero era considerato “sterco del diavolo” e cibo delle streghe, poiché si credeva prolificasse nelle vicinanze di nidi di serpenti, tane di animali velenosi e carne putrefatta di cadaveri. Ma anche in questo periodo storico non mancarono gli estimatori. Che usavano molta fantasia per giustificare il consumo di un cibo quasi proibito. Papa Gregorio IV ad esempio, è ricordato per essere stato ghiotto del nobile fungo, di cui ufficialmente faceva uso per compensare le energie spese nel fronteggiare la minaccia saracena. E Sant’Ambrogio (ca. 340-397), letterato, alto prelato e patrono della città di Milano, ringraziò il primo vescovo di Como, San Felice, per i tartufi, di stupefacente grandezza che gli aveva regalato.
Dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Black & White – Di quale tartufo sei? STORIE, LEGGENDE, CURIOSITÀ“