Del maiale non si butta niente. Con questo antico proverbio si spiega l’ampia diffusione della carne suina nelle abitudini e tradizioni alimentari. Focalizzando l’attenzione sul passato, ci si rende conto perché l’allevamento dei maiali, prima allo stato brado e poi in modo più strutturato, si sia ampiamente diffuso nei nostri territori. Innanzitutto era molto semplice, in un’economia più difficile rispetto a quella odierna, ricorrere al maiale quale fonte di proteine, visto che richiedeva poche attenzioni, in quanto, onnivoro, non aveva bisogno di pascoli e di transumanze ed era altamente prolifico.
La sua carne, ma anche le interiora, la cartilagine, e persino le setole, poi, diventavano una fonte di ricchezza ed una riserva di cibo per tutto l’anno. La sua carne, infatti, opportunamente lavorata e preparata, era consumabile per un ampio periodo di tempo.
Sebbene il maiale sia stato molto diffuso sin dall’antichità, nel lungo periodo del Medioevo sono rimaste numerose testimonianze che ne regolavano l’allevamento, la commercializzazione e la preparazione, anche dal punto di vista di tasse ed imposte. I maiali dell’epoca erano d’aspetto più simili ai cinghiali ed erano più piccoli di quelli odierni e per questo venivano macellati tra il secondo ed il quarto anno d’età. La macellazione avveniva a gennaio e spesso coincideva con la festa di Sant’Antonio Abate, giorno in cui si celebra anche l’ingresso del Carnevale (17 gennaio). L’uccisione e la macellazione dei maiali rappresentava una vera e propria festa, anche perché le scorte di cibo scarseggiavano ed anche i frutti della terra non erano più così abbondanti come nei mesi più caldi. All’inizio, del maiale veniva consumato il cosiddetto quinto quarto, ossia i tagli più deperibili, come sangue, cervello, midollo, lingua, pancreas, arnioni, fegato, milza, polmoni, zampetti e simili.
Il resto, invece, veniva trattato, sottoposto alla “salata” e destinato ad un successivo utilizzo. Le parti grasse, un tempo più spesse rispetto a quelle attuali, venivano trasformate in lardo, strutto e pancetta, mentre le parti più magre in salumi ed insaccati.
Con la quaresima, il consumo di carne era vietato; a Pasqua si mangiava il tradizionale agnello e poi si arrivava velocemente al periodo estivo in cui il maiale veniva consumato in porchetta, preparata dai macellai o da operatori legati al commercio di alimenti. Nasce così la figura del porchettaro, di cui comunque abbiamo notizia già nell’antica Roma, ma che nel Medioevo diventa una figura professionale vera e propria.
Tratto dalla pubblicazione della Camera di Commercio dell’Umbria “L’Umbria in Porchetta“