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Le Arti nel medioevo a Perugia

Alla fine del Duecento in Perugia molte sono le attività organizzate in Arti o corporazioni che, prendendo a modello il Comune, hanno propri statuti e un proprio organigramma costituito da un camerlengo coadiuvato da più rettori, un consiglio, massari, talvolta un proprio tribunale dove si dibattono cause coinvolgenti i propri iscritti. Il primo interrogativo che gli studiosi si sono posti è relativo alla quantificazione del numero delle Arti a perugia. Annibale Mariotti (medico ed erudito settecentesco) compilò nel 1786 un elenco delle Arti perugine basato sullo spoglio delle matricole (cioè dell’elenco degli iscritti) appartenenti ad epoche diverse; il numero di numero di quarantaquattro arti da lui indicato è stato poi confermato da studi successivi se pure sulla base di documenti diversi. Altro tema è quello della gerarchia delle Arti, generalmente distinte in “grosse” e “minute” (o “maggiori” e “minori”) secondo un criterio che tiene conto di più elementi: la consistenza economica e numerica degli associati, la collocazione di ogni professione all’interno del processo produttivo e del mercato urbano, la maggiore o minore partecipazione dei suoi aderenti alla vita politica. tale gerarchia è legibile in un capitolo dello statuto in volgare del 1342 dove si parla di “luminarie” ovvero delle solenni processioni per le feste di Sant’Ercolano e della Vergine, processioni nelle quali le Arti sfilavano dietro le autorità cittadine secondo un ordine non casuale, bensì sicuramente gerarchico, stabilito in base ai parametri sopra detti: almeno nel 1342 gli iscritti al Cambiosfilano subito dietro quelli della Mercanzia e immediatamente prima della “Calzolaria”, e poi seguono tutte le altre.

La maggioranza delle Arti lavora per il mercato locale e solo poche (i cambiatori, i mercanti non specializzati, gli artigiani lanieri e i calzolai) si spingono fuori dalla regione o addirittura all’estero approfittando della favorevole posizione della città che, situata lungo l’asse commerciale toscano tra Ancona e Arezzo, Firenze, Pisa, riesce a inserirsi nello spazio internazionale.

Le Arti godono in Perugia di una vita molto lunga a motivo del sistema politico vigente che assicura l’accesso al governo della città solo agli iscritti, se pure non “esercitanti” il mestiere; per cui in età moderna si assisterà al fenomeno dell’iscrizione in massa della nobiltà delle Arti, anzi i collegi delle due >Arti di maggiore prestigio, di origine più antica, con un raggio di interessi più vasto e con un maggior peso economico, ovvero Mercanzia e Cambio, diventeranno i “collegi nobili di Perugia” sui quali l’aristocrazia eserciterà un vero “monopolio”, istituzionalizzato nel XVII secolo e protrattosi fino alla soppressione decretata da Pio VII nel 1801.

Tratto da Storia illustrata di Perugia di M.Grazia Nico Ottaviani-  Camera di Commercio di Perugia

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I nobili collegi del cambio e della mercanzia a Perugia

La Mercanzia e il Cambio, le due principali Arti, si insediano abbastanza presto nel Palazzo dei Priori per “congruità con il luogo del potere”. La prima lo fa nel 1403 dopo un lungo, graduale processo di acquisizione dei locali iniziato dal 1384.

A metà del XV secolo anche il Cambio trova lì la sua sistemazione; nel 1452 infatti trasferisce l?udienza in alcuni locali del Palazzo per i quali iniziano subito i lavori di ristrutturazione che si concluderanno nel 1457. Il Collegio del Cambio poi celebra se stesso affidando le decorazioni della sala dell’Udienza al pittore più famoso del momento cioè il Perugino che fu chiamato nel 1500 ad eseguire le pitture parietali seguendo un programma dettato  dall’umanista perugino Francesco Maturanzio, seguendo il quale sono raffigurati uomini illustri dell’antichità raggruppati secondo le virtù che li distinsero: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. Oltre all’autoritratto del pittore, non mancano soggetti sacri: la Trasfigurazione, il Presepio, l’Onnipotente con in basso una schiera di Profeti e una di Sibille.

 

Tratto da Storia illustrata di Perugia di M.Grazia Nico Ottaviani – Camera di Commercio di Perugia

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SULLE STRADE DEL RUZZOLONE

“Più che un gioco, un modo per vivere insieme, un rito di altri tempi ripetuto nei giorni di festa a primavera, tra campi, fossi e strade bianche. All’inizio il ruzzolone si giocava con una forma ben stagionata di pecorino che era anche il premio per il vincitore. Oggi si usa un disco di legno. Ma la passione rimane. E trova ancora proseliti: sono almeno tremila gli appassionati in Umbria, nel Lazio, nelle Marche, in Toscana ed in Emilia Romagna che si sfidano, in piste attrezzate, dalla primavera all’autunno, sotto l’egida della Figest, la federazione italiana giochi e sport tradizionali. Il gioco del ruzzolone ha antichissime origini. Lo praticavano già gli Etruschi: nella tomba delle “Scalette” a Tuscania sono stati recuperati dei ruzzoloni che ora è possibile osservare nel Museo di Valle Giulia a Roma. E un lanciatore è immortalato in un affresco nella “Tomba delle Olimpiadi” a Tarquinia. I pastori, durante le transumanze si sfidavano lungo i tratturi. Poi il giuoco del Cascio e della Forma arrivò anche nei paesi e nelle città. Ma erano tante le zuffe e le liti tra i concorrenti e gli spettatori, che fu presto proibito nelle vicinanze dei centri abitati. A Gubbio, un editto del 1500 impose che il ruzzolone si giocasse ad almeno mezzo miglio dalle mura cittadine ed a Perugia, nello stesso periodo, il gioco era vietato in città per disturbo alla quiete pubblica. E’ un gioco di squadra ma si può praticare anche in due o in coppia. Occorre un ruzzolone per ogni giocatore. Il disco, di legno duro, ha un diametro di 26 cm. Poi, una fettuccia che ha il compito di dare più forza nel tiro, un rocchetto e una maniglia per il lancio. Vince chi, con il minor numero di tiri, arriva al traguardo. Come nel gioco del golf, dopo il tiro si riprende da dove il ruzzolone si è fermato. Il percorso di gara è di 500 metri e presenta ostacoli naturali e artificiali per rendere più difficile la gara. Il ruzzolone va tenuto tra il pollice e il mignolo. L’indice, il medio e l’anulare stringono lo zeppo. Dopo il tiro, la fettuccia si srotola e il ruzzolone inizia la sua corsa. Conta la forza ma anche la tecnica del tiro. L’Umbria è ricca di piste ed appassionati. In provincia di Perugia si può praticare il ruzzolone sulle piste di Collestrada, Todi, Spoleto, Migliano, Gubbio, San Biagio della Valle e San Martino in Colle. Nella provincia di Terni sono attivi gli impianti di Campitello di Terni, La Selva di Narni, Fornole, Orvieto, Acquasparta e Porchiano.”

Tratto da “L’Umbria dei formaggi” pubblicato in questo sito.

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Non solo Laterizio e Terrecotte, ma anche tanti fischietti!

 

Il ruolo di Marsciano quale principale centro umbro di produzione del laterizio ha determinato la creazione del Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte “Enzo Briziarelli” inaugurato nel 2004, che documenta la produzione secolare di laterizi e terrecotte dal XVI al XX secolo e rappresenta un momento molto importante di costruzione dell’identità della città. Il museo, il cui nucleo centrale è costituito da Palazzo Pietromarchi, si snoda attraverso un percorso che prevede la visita di più luoghi e edifici situati nel territorio
comunale: le antenne museali di Compignano e Spina, le antiche fornaci restaurate di Compignano e San Fortunato e l’ex Fabbrica di
piastrelle delle fornaci Briziarelli.
La creazione delle antenne museali rappresenta un percorso dinamico, originale ed innovativo, sui luoghi della civiltà contadina, artigianale e industriale del marscianese, che assicura uno stretto legame con l’intero territorio, con le sue storie e le tradizioni.
All’interno di Palazzo Pietromarchi è possibile ammirare: un corredo tombale etrusco risalente al IV sec. a. C., rinvenuto a Villanova nel 1987, terrecotte etrusco-romane, terrecotte architettoniche, terrecotte invetriate, laterizi realizzati sia in maniera industriale che artigianale ed una serie di grandi orci. Le terrecotte esposte all’interno del museo sono suddivise per aree tematiche e illustrano alcuni aspetti della vita rurale e contadina.
Potrai visitare la Sala del Camino in cui si propone la ricostruzione di un desco rurale ottocentesco con terrecotte da cucina e da tavola; la Galleria degli Orci con orci da olio e da vino di produzione ottocentesca; la Sala delle Pignatte con terrecotte “da fuoco” per la cucina; la sala delle Brocche con terrecotte “da acqua” per uso domestico e, da ultimo, la Bottega del vasaio che riproduce un’antica officina di terrecotte.
La sezione dedicata ai laterizi presenta la produzione e l’uso dei laterizi dall’antichità ai giorni nostri, dal punto di vista delle tecniche, delle abilità professionali e degli strumenti della produzione. L’esposizione si articola nelle seguenti aree tematiche: il materiale e le tecniche in età classica e i laterizi romani; la produzione preindustriale e industriale dei laterizi; le terrecotte architettoniche.
La terracotta è la protagonista anche della mostra di scultura allestita all’interno di palazzo Pietromarchi dell’artista marscianese Antonio
Ranocchia, noto in tutto il mondo per le sue sculture principalmente in terracotta, realizzate con i polpastrelli delle mani. In una sala attigua è ospitata una mostra di fischietti in terracotta, un’originale collezione privata di fischietti provenienti da tutto il mondo donata al museo da un privato, unica nel suo genere per qualità e quantità. Intorno al mondo dei fischietti l’Amministrazione Comunale ha ideato un “Concorso internazionale biennale del fischietto in terracotta tradizionale e d’arte”.
Il percorso secondo cui è organizzato il museo ci porta ad uscire dal bel palazzo nobiliare trecentesco per andare a visitare le altre realtà diffuse sul territorio. Rimanendo nella città di Marsciano si può visitare “La Ceramica”, l’ex fabbrica di piastrelle delle Fornaci Briziarelli dove a partire dagli anni ‘20 sino agli anni ‘40 è stata realizzata la produzione di terrecotte artistiche ed architettoniche.
Per conoscere più da vicino gli altri luoghi dove venivano realizzate con metodo preindustriale le produzioni di laterizi e di terrecotte puoi recarti a San Fortunato e a Compignano (a circa 12 km. da Marsciano) per visitare le antiche fornaci, ben ristrutturate, risalenti al ‘700 ed utilizzate sino agli anni ‘50 del secolo scorso da fornaciai della zona. Le rievocazioni delle produzioni sono rese possibili dalla
presenza ancora sul posto di alcuni anziani fornaciai che conservano vive nella loro memoria le tecniche e i metodi di produzione artigianale.
Entrambe le fornaci, distanti una dall’altra circa 4-5 km, sono liberamente accessibili e gratuite. Presso l’antenna museale di Compignano è disponibile, inoltre, un laboratorio dove, su prenotazione, potrai cimentarti anche tu nella manipolazione
delle terrecotte utilizzando le varie tecniche di lavorazione.
L’antenna museale “Rossana Ciliani” (a 13 km. da Marsciano), ubicata all’interno dell’antico castello di Spina, costituisce un’altra tappa del percorso museale dove potrai visitare un interessante centro di documentazione di antichi mestieri relativi alla produzione del vino, alla lavorazione tradizionale del ferro, all’attività delle antiche fornaci e ad altre produzioni che caratterizzavano la vita contadina e l’economia del posto (per informazionitel. 075-8741152).

TRATTO DA ABITARE IL TERRITORIO volume 1

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Un intero museo dedicato alla ceramica

Per gli appassionati della ceramica, una tappa obbligata è certamente il Museo Regionale della Ceramica. Il percorso museale è costituito da 14 sale espositive con oltre 7.000 opere, distribuito su tre piani, al quale va aggiunto l’immenso spazio destinato ai depositi che conservano oltre 5.000 maioliche e collezioni di ceramica contemporanea, accessibili al pubblico e debitamente attrezzate per attività di studio.
Al piano terreno si accede a sale “open” dove sono sistemate mostre temporanee che consentono al visitatore di cogliere, a colpo d’occhio, un saggio della sistemazione del Museo e di decidere se proseguire la visita a pagamento. Dalla stessa area si accede alla biblioteca specialistica in storia della ceramica, già ricca di oltre 1.400 volumi. Il percorso si apre con una sala dedicata alla tecnica della ceramica e continua a pian terreno con una sezione dedicata alla ceramica arcaica ed alla storia della ceramica di Deruta. La sezione archeologica, che  riunisce oggetti di provenienza varia e spesso ignota, offre un significativo panorama dei
principali tipi di vasellame prodotti in Grecia e in Italia in epoca antica. Notevoli sono alcuni vasi di fabbricazione etrusca; fra le produzioni romane si segnala la “sigillata italica”, il tipico vasellame da mensa della prima età imperiale. La produzione locale medioevale è testimoniata da brocche e catini del XIV sec. Di maggiore ricchezza decorativa sono le ceramiche databili fra
il XV ed il XVII sec. Sono esposti elementi non realizzati per uso comune, come piatti da pompa recanti stemmi nobiliari o ritratti di belle donne rinascimentali, decorati con la tecnica
del lustro, coppe amatorie, gamelii, ballate, impagliate, oggetti per la tavola, alzate,
saliere, boccali e brocche. Durante il percorso vengono proposte alcune aree tematiche,
come la sezione dei pavimenti, delle targhe votive, nonché la ricostruzione di un’antica farmacia. Particolare attenzione al secondo piano è dedicata al collezionismo, con la parte finale del percorso destinata alla “Collezione Magnini”.

Orario di apertura al pubblico:

luglio-settembre: tutti i giorni
10,00-13,00 e 15,30-18,30

aprile-giugno: tutti i giorni
10,30-13,00 e 15,00-18,00

ottobre–marzo: chiuso il martedì
10,30-13,00 e 14,30-17,00

Largo S. Francesco 1,
tel. 075-9711000

TRATTO DA ABITARE IL TERRITORIO volume 1

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IL BARTOCCIO DA PIAN DEL TEVERE

Il Bartoccio è la maschera tipica del carnevale locale: è il contadino dalla zona del Pian del Tevere perugino, rozzo, ma sagace, gioviale e saggio, che a partire già dal 1600 compare nella tradizione letteraria locale.
La sue frizzanti e vivaci vicende familiari (di cui sono protagonisti la moglie Rosa, la figlia Suntina e i compari di avventura tra cui il Mencarone) si intrecciano con la storia della città: diventano spunto per lanciare sferzanti e irriverenti attacchi alla classe politica.
Da qui l’usanza carnevalesca di comporre in dialetto, su cartigli anonimi, satire di costume e denuncia sociale che, in onore del pungente ispiratore prenderanno il nome di bartocciate: i fogli, lanciati sulla folla mascherata, sono lo spunto per denunciare i giochi del potere a discapito dei cittadini. E la censura colpirà anche il Bartoccio tanto che la dominazione pontificia lo indicherà, alla fine del 1700, personaggio proibito. È con il Risorgimento che la maschera riacquista vigore, a tal punto da diventare vero e proprio emblema della città.

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Vino e Olio al… Museo!

Olio e Vino al… Museo!

Torgiano è una ridente cittadina, nei pressi di Perugia, che ha la fortuna di ospitare, nelle sue fertili terre, vigneti inebrianti ed olivi eccezionali, da cui si ricavano, rispettivamente, ottimi vino ed olio, prodotti tipici tra i più noti dell’Umbria. Da tale binomio, su volontà di Maria Grazia Lungarotti, sono scaturiti gli originali musei dedicati, il MUVIT Museo del Vino Torgiano (1974) ed il MOO Museo dell’Olio e dell’Olivo (2000), che presentano insoliti itinerari tra storia, arte, viticoltura, olivicoltura, divertimento, gusto e conoscenza, per approfondire, in un ambiente gradevole ed accogliente, i preziosi alleati della nostra enogastronomia.

MUVIT Museo del Vino
Corso V. Emanuele 31, Torgiano (PG)
Tel: 075 9880200
museovino@lungarotti.it
http://www.lungarotti.it/fondazione/muvit/index.php

MOO Museo dell’Olivo e dell’Olio
Via G. Garibaldi 10, Torgiano (PG)
Tel: 075 9880300
museoolio@lungarotti.it
http://www.lungarotti.it/fondazione/moo/index.php

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ORTO BOTANICO PERUGIA MEDIOEVALE

In una città come Perugia, capace di armonizzare vicoli e palazzi storici con la modernità del Minimetrò, avveniristico mezzo di trasporto urbano sopraelevato, scopriamo un angolo di Medioevo ancora vivo nell’Orto Botanico, curato dalla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Perugia, presso il complesso monumentale benedettino di San Pietro, in Borgo XX Giugno, area centralissima del capoluogo di provincia.
Nel 1996, infatti, fu inaugurata, all’interno dell’orto botanico della Facoltà, un’apposita sezione in cui scoprire le coltivazioni aromatiche, alimentari e salutari, le erbe mediche ed officinali, ricostruita, come era in passato, quale parte integrante dell’Abbazia. L’orto monastico aveva una forte valenza simbolica, tratto comune, ad esempio, all’arte del tempo che ricoprì una funzione non solo estetica, ma anche di veicolo di evangelizzazione, capace di trasmettere dottrina ai numerosi analfabeti. All’interno dell’orto monastico si trovavano oltre a piante utili, allegorie religiose, come l’acqua metafora di Cristo sorgente di vita eterna o l’Albero della Vita, raccontato dalla Genesi.
All’interno dell’orto medievale ricostruito, è quindi possibile oggi ripercorrere alcune tappe emblematiche del cammino spirituale e storico dell’umanità, si passa dal Giardino dell’Eden al peccato originale, dalla razionalità  al dominio, dalla creatività alla comunità, dalla religiosità alla cultura, dall’estetica alla santità. Se la visita dell’orto medievale permette di approfondire aspetti antropologici e culturali tipici dell’epoca, rappresenta anche un’occasione per gli appassionati di botanica di approcciarsi  alle varietà di specie utilizzate dagli stessi monaci. Passeggiare in questo ameno giardino darà l’impressione di tornare indietro nel tempo e, quasi, di scordarsi la frenetica routine fuori le sue mura. Di notevole interesse, inoltre, la porta e la strada pubblica medievali, racchiuse nel plesso.
Interessante, poi, è trascorrere del tempo nel più esteso orto botanico della Facoltà, in cui sono presenti, tra l’altro, un giardino alpino, uno zen ed un laghetto con piante ombrofile, nonché ammirare la splendida chiesa di S. Pietro annessa all’Abbazia sede di Agraria. A pochi metri di distanza, è possibile passeggiare nei Giardini del Frontone, storico spazio verde della città e, proseguendo verso Corso Cavour, merita una sosta l’imponente Chiesa di S. Domenico.

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Campo del Sole

Immagina uno specchio d’acqua, teatro di un’epica battaglia… Parliamo del Lago Trasimeno dove, nei pressi di Tuoro, ebbe luogo nel 217 a. C. un cruento scontro tra l’esercito romano e le truppe di Annibale, con la vittoria di quest’ultimo. Questo per raccontare lo scenario, ma in realtà vogliamo soffermarci sul lido di Punta Navaccia, in cui trionfa una moderna stonehenge, un complesso monumentale scultoreo a cui hanno contribuito ben 27 artisti di fama internazionale.
Nato nella seconda metà degli anni ’80, Campo del Sole è un giardino di “Totem”, alberi-colonna, immerso in un contesto naturalistico d’eccellenza, un museo all’aperto, in cui ogni elemento è stato pensato, creato e realizzato da artisti di altissimo livello, quali ad esempio Pietro Cascella, Cordelia Von den Stein e Mauro Berrettini, utilizzando la pietra serena, un’arenaria dal colore grigio – azzurro capace di virare su più calde tonalità rosate , estratta dalle cave locali.
Con quest’opera, si è voluto in qualche modo celebrare la scultura moderna, legandola però a forme primordiali di dialogo tra terra e cielo. L’ambiente suggestivo in cui è posta, rende ancora più piacevole la sua visita, in qualche modo obbligata per chi si reca a Tuoro, in quanto unica nel panorama artistico internazionale. Stupisce la creatività degli artisti che hanno saputo declinare il motivo scelto della colonna in varianti capaci di esprimere emozioni diverse.
Meritano apprezzamento anche la disposizione a spirale delle colonne, lo slancio verticale,i richiami triangolari, la tavola in pietra che rimanda al cosmo, la magica fusione tra elementi terreni, lacustri e astrali che, in una dimensione labirintica, Campo del Sole sa evocare.

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La foresta fossile di Dunarobba

Hai mai pensato di passeggiare in una foresta di milioni di anni fa? Questo è possibile nel sito paleontologico di Dunarobba, nel Comune di Avigliano Umbro, in provincia di Terni.
In un suggestivo paesaggio, puoi ammirare i resti fossili risalenti al Pliocene di un bosco di conifere. Particolarità ulteriore è che i circa 50 tronchi si sono conservati in posizione verticale, a causa di un graduale sprofondamento del terreno, consentendo così ai paleontologi di poter conoscere in modo approfondito le caratteristiche ambientali in cui sono vissuti questi affascinanti alberi, che molto probabilmente erano di dimensioni importanti, visto che il loro diametro può arrivare fino a 4 metri.
Questa imponente foresta ci racconta anche di un ampio lago, che molto probabilmente aveva la singolare forma di un’ipsilon rovesciata e che copriva gran parte dell’Umbria, a partire dall’odierna Alta Valle del Tevere, e di una vasta zona paludosa, in cui il clima era decisamente più caldo di quello attuale.
Numerose sono le attività didattiche, comprensive di esperienze di scavo, organizzate dal Centro di Paleontologia Vegetale della Foresta Fossile di Dunarobba e rivolte agli alunni della scuola primaria e secondaria inferiore e superiore. Si va dal Laboratorio di Paleontologia (Un giorno da Paleontologo) a quello di paleobotanica (Alla ricerca dei semi fossili), da quello di geologia (Classifichiamo le rocce) a quello di archeologia (Il lavoro dell’archeologo. Archeologia come scienza per ricostruire la storia),  sono possibili anche approfondimenti sulla biodiversità , sulla botanica, per conoscere i segreti delle piante, e sull’energia per un focus sugli idrocarburi e l’inquinamento.