Canta e suona col piglio dell’artista consumato. Intona poesie, si perde in digressioni storiche sul suo borgo, Montegiove; ama rammentare la genealogia di mastri norcini, “salatori” di carne la cui tecnica (e teoria) arrivava a conoscenze anatomiche e biologiche degne dei migliori veterinari. L’arte impareggiabile di Franco Zazzerini, Franchino da Montegiove, affonda le radici nel passato, nella storia. Non si limita alla porchetta, come detto, spazia a tutto tondo nel belcanto, le note e gli accordi di chitarra, le odi alla vita composte in rima. Ma il clou, il meglio di sé lo dà nel manipolare il maiale. Arte che oggi trova clamore nei tanti vip che hanno assaggiato il maiale fatto in porchetta alla umbra e ne sono rimasti affascinati. Epici i banchetti delle sorelle Fendi, mitici i racconti di un Paolo Villaggio talmente appassionato alla crosta che ne ha mangiata per una porchetta intera. È noto nel mondo del jet set romano. Il maiale, originario di Sant’Elena, allevato libero nell’aia, arriva al laboratorio dal vicino mattatoio di Marsciano, macellato e svuotato delle interiora. Il maestro per iniziare lo lava con acqua calda e flamba la pelle per togliere le ultime setole. Poi recide con il coltello orecchie, zampe e inizia a disossare l’animale completamente a mano, togliendo ogni singolo osso con l’abilità di un chirurgo. Intanto nel bollitore vengono cotti fegato, stomaco, zampe e orecchie che serviranno come ripieno. Inizia la salatura, poi l’aggiunta dell’aglio e la macinazione del pepe (in dosi segrete) col finocchio selvatico e rosmarino precedentemente colti nei campi. Tutti i giorni prima di iniziare a lavorare sul maiale, Franco con passione e dedizione coglie il finocchio selvatico e il rosmarino in zone e posti a lui noti scoperti in 40 anni di attività, al fine di ottenere per ogni periodo dell’anno un prodotto fresco e autentico. Anche i grani di pepe vengono macinati in opera per garantire aroma e profumo della spezia. Poi vengono aggiunti aglio italiano e sale marino di prima scelta. Anche la scelta della legna (tagliata direttamente nei boschi limitrofi) è accurata al fine di assicurare e mantenere la giusta temperatura del forno di mattoni in cotto refrattario per una cottura ottimale. Poi vengono aggiunte le interiora precedentemente bollite e il maiale viene cucito e messo nel forno a legna – a doppia campana, unico nel suo genere – che deve essere stato scaldato con il tipo di legna adeguato e alla giusta temperatura, cosa che Franco intuisce solo sentendone il calore che esce dalla bocchetta del forno, dote acquisita in 40 anni di duro lavoro.
Dalla pubblicazione della Camera di Commercio dell’Umbria “L’Umbria in Porchetta“