pinoccate

Pinoccate

Ingredienti
1000 gr di zucchero
350 gr di pinoli
1 manciata di scorza d’arancia o di mandarancia a pezzettini piccolissimi
1 bustina di vanillina

Preparazione
Infarinare i pinoli. Cuocere lo zucchero nell’acqua fino ad avere un denso sciroppo che fa il “filo” (ovvero, prendendo con la punta
delle dita una piccola parte, esso risulterà sufficientemente vischioso se, aprendo le dita, si formerà un filo). Unire pinoli, vanillina
e scorzetta di arancia e cuocere per altri 10-15 minuti, fino a che la massa diviene ben densa, tenderà a staccarsi dalle pareti della pentola e comincerà ad “imbiancare” quando si struscia il mestolo sulle pareti.
Versare il tutto su un tavolo di marmo, in una altezza di circa 4 cm, pareggiando la superficie con una spatola.
Lasciar raffreddare appena (ma non troppo per evitare che il composto si solidifichi) e tagliare a forma di rombi.

Per le pinoccate al cioccolato, unire 60 gr di cacao amaro al posto dell’arancia e della vanillina.

 

pinoccate

Pinoccate…curiosità

Dolci tradizionali delle feste di Natale a Perugia, le pinoccate sono confezionate in carte colorate e festose che rallegrano vetrine, cesti augurali e tavole. Sembra che questi dolci fossero in uso tra i monaci benedettini fin dal XIV secolo e che ancora nel tardo settecento venissero consumati al termine di fastosi pranzi natalizi.
Pressoché esclusivo del capoluogo umbro, questo dolce deve il suo nome, noto nelle varianti di pinoccati, pinocchiati, pinoccate e pinocchiate, ai pinoli, in passato più frequentemente detti pinocchi, che ne costituiscono l’ingrediente principale e gli conferiscono un gusto insolito e speziato.
Si tratta di un impasto composto unicamente di acqua e zucchero fatti bollire fino ad ottenere uno sciroppo denso, nel quale si immerge una quantità di pinoli quasi equivalente a quella dello zucchero. su metà dell’impasto, da cui verranno poi tratti tanti piccoli rombi, si aggiunge del cacao, utile a smorzare l’eccessivo gusto dolce e anche per diversificare questi prodotti, poi incartati a coppie: uno bianco e l’altro nero.
Il contrasto tra i due colori sembra richiamare il gusto decorativo medievale, quando si usava avvicinare colori assai distanti, un gusto che si ritrova nell’architettura, nelle arti decorative, ma anche negli stemmi, scudi, stendardi e gonfaloni (per non dire nei giochi – dalla dama agli scacchi – e nelle fazioni delle città come i bianchi e i neri). Allo stesso mondo medievale e rinascimentale sembra riferirsi la confezione con cui il dolce si presenta: avvolto nella carta come fosse una grande caramella, si avvicina infatti a quei “dolci da lancio” che venivano realmente scagliati durante le finte battaglie tra cavalieri e nei tornei delle feste di queste epoche lontane.

Dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Di forno in forno. Viaggio alla scoperta dei prodotti da forno della tradizione umbra

fave dei morti

Le Fave dei Morti

(per circa 60 pezzi)

Ingredienti
400 gr di farina di mandorle dolci
40 gr di farina di mandorle amare
380 gr di zucchero semolato
80 gr di chiare d’uovo (circa 2)
6 gr di polvere lievitante

Preparazione
in una terrina versare le farine di mandorle, lo zucchero e amalgamare.
Aggiungere le chiare d’uovo e la polvere lievitante e poi impastare per qualche minuto.
Spianare il composto e ricavare dei biscottini del peso di 20 gr circa ciascuno.
Imburrare la teglia, spolverizzarla con un po’ di farina (se si preferisce, usare la carta forno) e disporvi sopra le fave.

Cuocere in forno a 170-180° per circa 12-13 minuti.

fave dei morti

Curiosità sulle Fave dei morti

Si tratta di dolcetti secchi alle mandorle di forma ovale, assai diffusi nella provincia di Perugia e tradizionalmente preparati il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti.
Nell’antichità i frutti delle piante delle fave erano il cibo rituale dedicato ai defunti e venivano servite come piatto principale nei banchetti funebri, cotte per i ricchi e crude per i poveri.
Presso i romani si riteneva addirittura che le fave contenessero le anime dei trapassati.
Questa credenza è forse legata ai caratteri botanici della pianta: la sue radici affondano infatti profondamente nel terreno e il suo lungo stelo cavo e privo di nodi faceva pensare che fosse il mezzo privilegiato per permettere ai morti di comunicare con i vivi. Anche i fiori della pianta, bianchi, con sfumature violacee e la caratteristica macchia nera, sembravano richiamare la lettera greca theta, iniziale della parola thànatos, che in greco significa appunto morte.
Così simbolicamente legata al mondo degli inferi, la fava, oltre che mangiata, era utilizzata in numerosi riti: uno tra questi, realizzato per implorare la pace dei defunti, consisteva nel cospargere le tombe di questi legumi; un altro, eseguito per scaramanzia, prevedeva di gettarsi le fave dietro alle spalle recitando formule propiziatorie di redenzione.
In epoca cristiana le fave divennero cibo di precetto quando, nel 928, l’abate benedettino di cluny odilone stabilì con la sua riforma che
i morti venissero commemorati con rintocchi delle campane che dovevano partire dai vespri del 1 novembre e durare fino all’eucarestia del giorno successivo: durante questa lunga celebrazione l’abate concesse dunque ai monaci una speciale razione notturna di fave che consentisse loro di vegliare in preghiera per l’intera notte. Durante la stessa ricorrenza, le fave erano distribuite ai poveri o lasciate a disposizione di questi bisognosi lungo gli angoli delle strade.
Con il tempo, alle fave si sono sostituiti questi dolcetti dalla simile forma ovale, una sorta di “dolce” viatico per l’anima che si avvia verso un percorso di non ritorno. La tradizione di distribuirle nel giorno della ricorrenza dei morti, così come nei secoli passati si faceva con i legumi veri e propri, è rimasta tuttavia intatta e anzi, fino a qualche anno fa, in alcune zone dell’Umbria si allestivano bancarelle ricolme di questi dolcetti proprio lungo le strade che conducevano ai cimiteri.

Dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Di forno in forno. Viaggio alla scoperta dei prodotti da forno della tradizione umbra.

maritozzi ricetta

Maritozzi

Ingredienti e preparazione
(per circa 20 pezzi)

200 gr di farina di grano tenero tipo “00”
100 gr di acqua
10 gr di lievito

Impastare bene tutti gli ingredienti, formare una palla e lasciare lievitare per 45-60 minuti.
Ad avvenuta lievitazione, aggiungere:
600 gr di farina di grano tenero tipo “00”
3 tuorli d’uovo
300 gr di latte
90 gr di zucchero

Impastare nuovamente molto bene gli ingredienti, formare una palla e lasciare lievitare per altri 45-60 minuti. Ad avvenuta lievitazione,
aggiungere:
200 gr di farina di grano tenero tipo “00”
80 gr di latte
100 gr di burro
90 gr di zucchero
20 gr di semi d’anice
300 gr di uva sultanina
Impastare ancora bene gli ingredienti e poi formare pezzi di pasta allungati del peso di 120 gr circa.
Sistemarli su teglie da cottura e lasciare lievitare per circa 60-70 minuti, fino a che i panetti non raggiungano quasi il doppio del volume.
Infornare nel forno caldo per 10-12 minuti.

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La tradizione culinaria del comprensorio Eugubino Galdese

Un particolare accenno merita la tradizione culinaria del territorio, impreziosita dall’uso di ingredienti di altissima qualità, come il tartufo nero e il tartufo bianco.
Si conservano qui antiche ricette principalmente legate ai momenti che scandivano il tempo della comunità. Tra le ricette più saporite
scopriamo quelle che un tempo erano base frugale del pasto di pastori e mietitori: dalla tipica bruschetta classica insaporita dall’eccellente olio nostrano a quella con il tartufo bianco; dal pancotto e panzanella preparati con il pane raffermo alla “crescia” semplice o al formaggio (tipica pasquale).
Specialità semplici della cucina locale spesso accompagnate dalla “barbozza” alla salvia.
A una grande varietà di legumi, utilizzati per la preparazione di minestre e zuppe insaporite da lardo o pecorino e dalle erbe aromatiche, si affiancano i deliziosi primi.
Tagliatelle, pappardelle, bigoli, passatelli e una grande varietà di paste ripiene: cappelletti in brodo, ravioli, “frescarelli” (ottenuti
con un impasto di farina e acqua in brodo).
Sulle tavole signoreggiano le ottime carni alla brace e la cacciagione: le cotiche con i fagioli, la coratella d’agnello e il “friccò” preparato
con carni bianche (cotto con vino, aceto, aglio, rosmarino, olio) sono solo alcuni dei piatti che si possono gustare. Notevole anche la produzione di insaccati di ottima qualità: salsicce, coppa di maiale e mazzafegati salati o dolci (salsicce a base di fegato di maiale, pinoli, uva sultanina e bucce d’arance). Ricca è la tradizione delle frittate e delle verdure. Non mancano ovviamente i formaggi: sono caratteristici la caciotta semplice o al tartufo e il pecorino, che è possibile gustare sia fresco, come formaggio da tavola, che stagionato e grattugiato.
La preparazione dei dolci è legata principalmente alle ricorrenze religiose.
Particolarmente gustosi i maccheroni dolci e la crescia fogliata per le festività dei Santi e del Natale, “le frappe”, i bignè e le “castagnole” tipiche del periodo di carnevale, le torte dolci pasquali e i panetti di Sant’Antonio Abate a base di farina, uova e anice.

Da “Ritratti di Storia – Viaggio nei Centri Storici del Comprensorio Eugubino Gualdese” della Camera di Commercio di Perugia