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REGINA IN PORCHETTA O ALLA PESCATORA

Si sceglie una bella carpa con le squame, denominata regina, si pulisce raschiandola con un coltello, si apre e si lava sotto l’acqua corrente, togliendo anche il «dente» che ha sotto le branchie.

Si prepara un battuto di lardo o prosciutto grasso e magro o pancetta o di tutto un po’, condito con sale, pepe, finocchio selvatico, aglio e rosmarino, tritati insieme al grasso di maiale.

Si picchetta il pesce lungo il corpo, specialmente nella schiena, si riempie nella pancia di condimento e si lascia insaporire anche 10-12 ore.

Si pone quindi al forno, ma se è piuttosto piccola di dimensioni, circa un chilo, si può porre anche sopra la gratella; si deve cuocere a fuoco lento per evitare che la pelle si apra.

Durante la cottura occorre dare «l’unzione». Alcuni, specialmente in casa, oggi riempono la pancia della regina con l’aggiunta di pane grattato bagnato di aceto.

Tratto dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Sapori di una terra”.

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CAPITONE ARROSTO

E’ un piatto che un tempo non compariva mai sulla tavola del pescatore non proprietario, il quale preferiva vendere l’anguilla adulta, mentre trovava posto in certe occasioni sulla tavola dei pescatori proprietari di arelle alle Valli.

Per la preparazione è ancora oggi usato il vecchio sistema di pulitura e di cottura; l’anguilla si spella praticando un’incisione alla base della testa, tirando con uno straccio la pelle e tenendo ben salda la testa.

Si taglia a rocchietti (pezzi lunghi circa 8 cm.), si fa insaporire per circa 2 ore in olio, aceto, sale, pepe, alloro, mescolati insieme.

Si infilano poi allo spiedo pezzi di capitone e foglie di alloro alternati e si pongono a cuocere sulla brace. Per tre o quattro volte si passa lo spiedo sotto l’acqua corrente, perché il capitone perda parte del grasso di cui è ricco.

La cottura sulla brace deve essere fatta a fuoco lento; ogni tanto con un rametto di rosmarino si distribuisce una mistura di olio, aceto, sale e pepe, fino a cottura ultimata. Il capitone viene da alcuni confezionato a spiedini che, dopo essere stati scolati del grasso, vengono a volte anche girati sopra un impasto di pane grattugiato, aglio, prezzemolo, olio e aceto.

Tratto dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Sapori di una terra”.

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RISOTTO CON LE TINCHE

Ingredienti: (6 persone)

450 gr. di riso

800 gr. di tinche (2 circa)

1 cipolletta

una manciata di prezzemolo

100 gr. di burro

olio

aceto

sale

pepe.

Svuotare, pulire e lavare il pesce. Fare appassire in una casseruola la cipolla tritata, aggiungere poi le tinche ed un po’ d’acqua con un cucchiaio di aceto. Appena cotte, diliscarle e rimetterle nella casseruola con il prezzemolo tritato ed il riso.

Mescolare con delicatezza, bagnare con acqua calda salata e portare a cottura, mescolando e bagnando nuovamente, appena il riso si asciuga.

Appena cotto al dente, toglierlo dal fuoco, unire il resto del burro, una manciata di pepe e lasciare macerare per un paio di minuti.

Ricetta tratta dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Sapori di una terra”.

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GNOCCHI DI LUCCIO

Ingredienti: (6 persone)

2 Kg. di luccio

6 cipolle

sale e pepe

50 gr. di crackers

mezzo bicchiere di acqua fredda

due carote

un cucchiaio di zucchero

gnocchi di patate.


Pulire e lavare il pesce,liberarlo di testa, coda, spina e pelle (da conservare). Mettere nel frullatore i crackers, aggiungere il luccio tagliato a cubetti, sale, pepe, zucchero ed acqua, tritare fino ad ottenere un composto omogeneo correggendo eventualmente con altra acqua. Riporre il composto al fresco.

Affettare le carote e le rimanenti cipolle.

In una pentola mettere un litro e mezzo di acqua, testa, coda, pelle e spina del pesce, carote e cipolle, portare ad ebollizione, ricavare dal composto precedentemente preparato delle palline di circa 2 cm. di diametro e lasciarle cadere nel brodo in leggera ebollizione.

Coprire e cuocere per un’ora e mezza, rimestando di tanto in tanto.

Versate gli gnocchi direttamente nei piatti; coprirli col brodo di cottura passato al setaccio.

Servire freddo.

Ricetta tratta dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Sapori di una terra”

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RISO CON ANGUILLA PISELLI E PREZZEMOLO

Ingredienti: (4 persone)

gr. 400 di riso

gr. 400 di anguille

gr. 200 di piselli

1 cipolla piccola

una manciata di prezzemolo tritato

gr. 40 di burro

sale e pepe.

Tempo di preparazione: 1 ora circa.


Fare imbiondire la cipolla nel burro, aggiungere quindi il pesce, dopo averlo spellato, sventrato e tagliato a pezzi. Far cuocere tutto per una decina di minuti, unire i piselli, il prezzemolo, salare e pepare. Versare nella casseruola il riso e farlo rosolare, quindi aggiungere a poco a poco dell’acqua calda, come per fare un comune risotto. Servirlo ben caldo.

Ricetta tratta dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Sapori di una terra”

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RISOTTO DAL PASCADOR

 

Ingredienti: (4 persone)

gr. 500 di pesce gatto (2 pesci gatto da 250 gr. cad.)

200 gr. di riso

100 gr. di burro,

50 gr. di parmigiano reggiano,

1 foglia di cipolla,

una manciata di prezzemolo,

1 bicchiere di vino bianco secco.


Lessare il pesce gatto in poca acqua con l’aglio, sedano, alloro, mezza cipolla, prezzemolo, mezzo bicchiere di vino bianco secco, sale. Bollire per circa 10 minuti finché non si sfaldi, quindi scolare e spolpare ancora caldo e togliere la pelle. Far soffriggere in un tegame a parte la foglia di cipolla tritata finemente con 50 gr. di burro. Prima che la cipolla prenda colore, unire il riso, far insaporire, spruzzare di vino bianco, lasciare evaporare e far cuocere lentamente, aggiungendo pian piano il brodo in cui è stato cotto il pesce, passato al colino. A metà cottura unire il pesce cotto (a piacere si può aggiungere mezzo dado sciolto in poca acqua calda). A cottura ultimata aggiungere il burro rimasto, il parmigiano grattugiato e poco prezzemolo tritato. Servire subito.

Ricetta tratta dalla pubblicazione della camera di Commercio di Perugia “Sapori di una terra”

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SPAGHETTI AL PESCE GATTO

Ingredienti: (4 persone)

gr. 400 di pesce gatto (2 pesci da 200 gr. cad.)

gr. 250 di spaghetti

1 spicchio d’aglio

3 cucchiai d’olio

un mazzetto di prezzemolo

1/2 cipolla

1/2 bicchiere di sugo di pomodoro S. Marzano

peperoncino.

Lessare il pesce e spolparlo. In un tegame a parte soffriggere olio, aglio e peperoncino: quando l’aglio è diventato rosa toglierlo insieme al peperoncino e mettere nel tegame la polpa di pesce. Quindi salare e pepare, aggiungere il sugo di pomodoro e far bollire lentamente per qualche minuto mescolando delicatamente. A parte cuocere la pasta e condirla con il sugo.

Tratto dalla pubblicazione della Camera di Commercio di Perugia “Sapori di una terra”.

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LA STORIA DI UN CHICCO DI CAFFE’

Curiosità che vengono dal mondo….il racconto di un giovane yemenita, studente presso l’Università per Stranieri di Pergia

“Molti di noi iniziano la loro giornata con un tazza di caffè per questo, oggi il caffè è al terzo posto delle merci negli scambi mondiali, dopo il petrolio e l’acciaio. Tre quarti della produzione del caffè è di qualità arabica. L’Italia è il quinto importatore di caffè nel mondo, ma il 16o consumatore dove oltre l’80% della popolazione prende il caffè al risveglio e dopo pasto. Qui di seguito un cenno alla storia del caffè e come è arrivato alla forma di oggi

La leggenda racconta di un pastore delle montagne dell’Etiopia e di quando notò che le sue pecore dopo aver mangiato i chicchi di una pianta si muovevano in maniera diversa dal solito. Così prese un po’ di questi chicchi per provarne l’effetto. Da allora i pastori hanno iniziato a mescolare chicchi di caffè macinati, sale, burro e  farina facendone un tipo di pane aromatico che consumavano durante i loro viaggi; questo cibo li rendeva svegli e più vivaci. I commercianti e i religiosi sufi yemeniti che andavano in Etiopia a loro volta portavano questa pianta per coltivarla in Yemen e ne hanno preparavano una bevanda chiamata “Qahwa” cioè “bevanda che lascia la mente sveglia, eccitata e concentrata”.

Di solito la bevanda si prendeva la notte per mantenersi svegli durante le orazioni notturne. Tuttavia  nel 1450 il caffè era una pianta diffusa e una bevanda popolare in Yemen: per non diffondere il segreto di questa pianta considerata preziosa e magica i piantatori ne proibivano l’esportazione, inventandosi storielle secondo le quali le fattorie di caffè fossero piene di serpenti.

Con l’arrivo degli ottomani in Yemen il caffè si diffuse in altri paesi del Medio Oriente, benchè inizialmente in alcune città come la Mecca e Medina ci fu il rifiuto per questa bevanda a causa dell’effetto che si pensava lasciasse nel cervello di chi la prendeva, arrivando anche alla chiusura delle botteghe di caffè, all’arresto dei negozianti e al sequestro dei chicchi di caffè che venivano bruciati pubblicamente. Le autorità infatti temevano che le botteghe di caffè potessero rappresentare un luogo di incontro della gente dove sarebbero potute nascere possibili rivolte, mentre le autorità religiose temevano che le botteghe di caffè causassero l’abbandono delle moschee da parte della gente che frequentava questi luoghi.

Nonostante questo il caffè diventò una bevanda popolare e diffusa pure in Medio Oriente e molti caffè aprirono a Damasco, al Cairo e Istanbul: per la sua diffusione il caffè è stato chiamato da alcuni commercianti occidentali “il vino degli arabi”.

Dopo il fallimento dell’assedio ottomani di Vienna, l’esercito si ritirò lasciandosi dietro sacchi pieni di chicchi di caffè: i viennesi non sapendo cosa fossero, cominciarono  a bruciarli…. La storia non finì qui perché nello stesso momento  un polacco di nome Kolschizky, che aveva vissuto per lungo tempo in Turchia, sentendo l’odore del caffè proveniente dalle bisacce bruciate, prese i sacchi di caffè ed cominciò a preparare ai viennesi il caffè come veniva preparato in Medio Oriente  vale a dire nero e amaro. Questa bevanda così proposta non venne particolarmente apprezzata dai viennesi, e quindi, per incontrarne il gusto, Kolschizky lo mescolò con latte e miele ricavandone una bevanda simile al cappuccino di oggi. Il successo di Kolschizky ha portato all’apertura della prima bottega di caffè in Europa.

Di seguito sorsero i caffè nelle città europee, una dopo l’altra: 1670 il primo caffè a Berlino, 1687 il primo caffè a Parigi. Il caffè arriva in Italia tramite i commercianti veneziani; la bevanda era conosciuta prima come medicinale e si vendeva nelle farmacie. La prima bottega di caffè si apre in Piazza San Marco a Venezia nel 1683 (alcuni anticipano questa data al 1640) considerata una bevanda per aristocratici e intellettuali. La Chiesa ne proibì all’epoca il consumo del caffè ai suoi fedeli per la sua provenienza da terra non cristiana.

Nel 1691 si assiste alla creazione della caffetteria napoletana, 1884 Angelo Moriondo inventa la prima macchina per fare il caffè espresso.

Nel 1933 Luigi De Ponte e Alfonso Bialetti hanno inventato la caffetteria Moka per fare il caffè espresso senza macchina e portare il caffè espresso nelle case di tutti. Il nome  è stato preso dalla città Mokha in Yemen dove c’era il porto da cui si esportava il caffè  della pregiata qualità arabica. Buon caffè!!”

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IL GRIFO DI PERUGIA

Passeggiando per le vie di Perugia è facile incontrare, sotto varie forme, il Grifo, lo stemma cittadino, che raffigura appunto la creatura leggendaria per metà leone e per metà aquila.

La tradizione racconta che furono gli etruschi, antico popolo presente anche in terra umbra, a portare il grifo in Italia: il suo mito si ritrova infatti raffigurato su urne, sarcofagi e bassorilievi rinvenuti nei reperti.

Questo simbolo venne poi assunto dal Comune di Perugia sin dal Medioevo, tramite i membri delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri che avevano il consenso a farne uso nei loro stemmi.

Racconti favolosi narrano poi che nelle campagne tra Perugia e Narni scorrazzasse un grifo che facesse incetta di animali domestici, con grave danno per tutti gli abitanti. Le due comunità, mettendo da parte le antiche rivalità, iniziarono una vera e propria caccia, per liberarsi del temuto incursore.

La bestia venne catturata, e i due gruppi di contendenti presero ciascuno una parte del grifo come trofeo: lo stemma di Perugia è il grifo bianco, cioè la pelle, in campo rosso, mentre lo stemma di Narni è il grifo rosso, cioè il corpo scuoiato, in campo bianco.