raviggiolo

raviggiolo

Formaggio freschissimo prodotto con latte intero vaccino, a pasta molle, cremoso, ricco di fermenti; sapore dolce e colore bianco latte. Dopo la pastorizzazione a 72°C il latte passa nella polivalente e quando si trova ad una temperatura di circa 36°C si aggiungono i fermenti ed il caglio. Dopo la rottura della cagliata, si elimina il siero attraverso una leggera stufatura. Si sala lievemente, e si raccoglie il prodotto in formine da 250 grammi circa, che gli conferiscono una caratteristica forma a canestrello. Il formaggio viene subito messo in vendita e deve essere mantenuto alla temperatura di 4°C. La freschezza del prodotto limita la conservabilità a 7-10 giorni.

 

 

carpe

carpa

Corpo robusto, slanciato, appiattito sui fianchi, ricoperto da grosse squame. Presenta dorso bruno, fianchi dorati e ramati, ventre giallastro, pinne pelviche e pinna anale rossastre. Il peso medio e di 5 Kg, la lunghezza va dai 50 ai 60 cm. Carni ottime e gustose. Tecniche di pesca: tramaglio (retoni da regina), fila, tofo, bottata (raramente), giacchio (in disuso). Usata anche la lenza da fondo (ami: m. 3-6; esche: lombrico e polenta). Pasturazione utile. Fino a taglie max di 2-3 Kg può venire decapitata, sviscerata, spellata, sfilettata, refrigerata. Per taglie superiori si ricorre all’eviscerazione e desquamatura poi al confezionamento e successivo congelamento in tunnel.

Persico_Reale

persico reale

Corpo ovaliforme, compresso lateralmente, dorso arcuato, il margine superiore dell’opercolo termina a punta ed è munito di una robusta spina.
Squame piccole e dentellate. Presenta dorso verdastro/bruno, fianchi verdastri/giallastri, ventre argenteo, strisce verticali scure sui fianchi. Dimensioni medie di 18-20 cm., lunghezza massima di 45 cm. Carni pregiate, gustose, delicate, sode e magre. Stagione adatta alla pesca: primavera. Tecniche di pesca: tofone con ali, fila (rete a forma di cono sostenuta da una serie di anelli in legno, in ferro o in plastica), tramaglio (formato da tre pezze di rete sovrapposte), canna fissa o con mulinello e galleggiante per la pesca al “tocco”. Esca utilizzata: gamberetto.

olio

Colli Assisi-Spoleto

È la più ampia sottozona e abbraccia tutta l’Umbria Orientale, da Gubbio fino a Terni. 
La varietà prevalente è il Moraiolo con piante di media statura, ma sono presenti anche le varietà del Leccino e del Frantoio.

Rispetto all’olio dei Colli del Trasimeno quello dei Colli Assisi-Spoleto ha decisamente un fruttato più forte: dal colore verde giallo, ed un odore fruttato forte, ha un sapore fruttato con forte sensazione di amaro e piccante caratteristico dell’olio prodotto in quest’area.

olio

Colli del Trasimeno

L’area dei Colli del Trasimeno copre la zona da Perugia fino a Città di Castello e ospita una molteplice varietà di coltivazioni locali.
Oltre al Moraiolo e al Frantoio, prevale la cultivar Dolce Agogia, con buona resistenza al freddo e dal sapore particolarmente dolce che caratterizza l’olio di questa zona.

L’olio DOP Umbria con la menzione geografica Colli del Trasimeno, infatti, oltre a dover avere un colore dal verde al giallo dorato, un odore fruttato medio/leggero, ha un sapore fruttato con media o leggera sensazione di amaro e piccante dovuta essenzialmente alla presenza di Dolce Agogia nella composizione varietale del lotto di confezionamento.

capocollo

Capocollo e lombetto

Il capocollo ed il lombetto sono due prodotti molto apprezzati della norcineria umbra. Particolarmente graditi per preparare antipasti, oppure per farcire la torta di Pasqua e quella al testo.

Secondo la tradizione la loro preparazione cominciava intorno a Natale, quando la temperatura fredda permetteva di iniziare la macellazione del maiale, prolungando poi la stagionatura nei mesi freddi dell’inverno e dell’inizio primavera.

Tipico della norcineria umbra, il capocollo (chiamato nella zona dell’alto Tevere scalmarita), ricavato dal muscolo dorsale del suino, risulta particolarmente apprezzato per il gusto saporito e la marezzatura della carne.
Il processo di preparazione prevede la fase di salatura, pepatura e la successiva fase di aromatizzazione con aglio tritato; il capocollo viene poi messo sotto sale per 15 giorni, al termine dei quali esso viene lavato nel vino bianco, avvolto in carta oleata e messo ad asciugare per 8 giorni.
Infine il capocollo, impacchettato in carta paglia e legato con lo spago, viene lasciato maturare per un periodo da 30 a 60 giorni.
Di sapore più delicato del capocollo, è il lombetto, realizzato appunto con i lombi, vale a dire la parte più pregiata del suino. Esso è riconoscibile per la quasi totale assenza di parti grasse e per il colore delle parti magre, che con la stagionatura tende a scurirsi.
Una tecnica particolare di conservazione del lombettoè sott’olio, tagliando l’insaccato in fettine di tre-quattro millimetri, che vengono poi stratificate in barattolo di vetro e coperte di olio extravergine di oliva, arricchito di bacche di ginepro e foglie di alloro.
Così facendo, la carne si mantiene morbida e può essere consumata anche dopo molte settimane.

guanciale

Guanciale o barbozzo

 

 

La guancia di suino, alla fine della lavorazione si presenta di forma triangolare, di medie dimensioni, di peso variabile dagli 800-1000 g., stagionato e ricoperto di pepe
Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
1. Sezionatura: la parte di suino interessata è il muscolo della guancia, dopo che si è tolta la cotica;
2. rifilatura;
3. salagione: si mette sotto sale per 4-5 gg.;
4. lavaggio, dopo si passa l’aglio, si aggiunge il vino e si ricopre di pepe;
5. asciugatura, per 4-5 gg.;
6. stagionatura per un periodo di 60-90 gg.
REGIONE DELL’UMBRIA
GIUNTA REGIONALE
Direzione Regionale Attività Produttive Servizio Produzioni Vegetali e Politiche per l’innovazione
SCHEDA IDENTIFICATIVA DEI PRODOTTI
AGROALIMENTARI TRADIZIONALI DELL’UMBRIA
Materiali e attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione e il condizionamento
Coltelli di vario tipo, contenitori per mettere sotto sale, scotennatrice e cella frigorifero
Descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura
1. Sala di sezionamento,dove il suino viene tagliato nelle varie parti e preparato per l’uso;
2. sala lavorazione: dove si rifila, si sala e si lava il guanciale;
3. sala di asciugamento e/o stagionatura: la prima è a temperatura controllata, la seconda a temperatura
naturale.

Il suino viene allevato al pascolo, dove possono crescere più lentamente, mangiano alimenti saporiti e per
procurarsi il cibo sviluppano i muscoli dell’apparato masticatore; il prodotto così ottenuto risulta con una
maggiore presenza di parti magre. Il barbozzo è ideale per la preparazione di piatti dal sapore gustoso:
scafata, piselli di Bettona in padella, pasta all’amatriciana

miele

miele

I primi dati storici circa la produzione di miele risalgono all’antico Impero Egizio, quando vennero avviati i processi di domesticazione e allevamento delle api. In questo periodo storico i prodotti dell’alveare trovavano una larga utilizzazione non solo nell’alimentazione ma anche nella medicina e nella cosmetica. 
Non meno dediti all’apicoltura furono i Greci che svilupparono un sistema produttivo alquanto progredito e ricco di varie qualità di miele. 
Il miele era molto presente nella dieta alimentare ed era alla base di molti cibi: particolarmente utilizzato nei dolci (torte al miele e cotte mielate), per le conserve di frutta (miele e pere) e per moderare il sapore aspro del vino greco.

Gli studi contemporanei ci consentono di definire il miele sotto due punti di vista: considerando l’aspetto biologico il miele deve essere definito come un alimento di riserva delle api, che attraverso la raccolta di nettare e polline assolvono alle loro necessità di accumulare scorte di cibo, mentre dal punto di vista alimentare può essere visto come una fonte di zuccheri semplici e per questo è un cibo altamente energetico e dolcificante.

In questa categoria è l’unico che non necessita di nessuna trasformazione per arrivare dalla natura alla nostra tavola.

Anche nella nostra terra l’apicoltura è una tradizione antica e grazie ai vari studi e all’utilizzo di tecniche sempre più avanzate oggi, nel nostro territorio,è possibile trovare molteplici varietà di miele.

Il miele millefiori è quello maggiormente prodotto e consumato; non è facile descriverne le caratteristiche in quanto variano a seconda dei fiori usati di volta in volta dalle api, ma può essere considerato il re dei mieli.
 Un’unica caratteristica accomuna tutti i millefiori: la cristallizzazione che avviene quasi sempre nel corso di alcune settimane.

Il miele di castagno, dal colore scuro con tonalità rossastre, si caratterizza per avere un sapore forte, leggermente amarognolo e aspro, per essere ricco di sali minerali, soprattutto di ferro; è adattissimo ai convalescenti, agli anemici e agli sportivi.

Dal colore più chiaro, che va dal bianco al giallo paglierino, il miele di acacia, caratterizzato da un’alta percentuale di fruttosio, ha un sapore particolarmente delicato ed è noto come miele che resta sempre liquido per l’assenza dei processi di cristallizzazione.

Il miele di girasole, dal colore giallo vivo e intenso, ha un sapore leggermente erbaceo, che tende a stemperarsi diventando delicato dopo la cristallizzazione. 
È un ottimo emolliente per le tossi stizzose delle prime vie respiratorie. Classico miele estivo, racchiude nelle sue caratteristiche tutta la solarità della pianta e della stagione.

Tra i mieli primaverili abbiamo il miele di sulla, simile a quello di acacia sia per il sapore che per il colore.

Il miele di lupinella ha un sapore delicato e molto gradevole, ma oggi è considerato raro, in quanto la coltivazione di lupinella, utilizzata come foraggio per il bestiame, è stata quasi ovunque abbandonata.

Infine il miele di melata, generalmente scuro, a volte quasi nero con tonalità dal rossastro all’ebano, raramente è oggetto di processi di cristallizzazione. 
La melata proviene dalla linfa dei fiori, ricca di sostanze zuccherine, estratta dagli afidi ed espulsa sotto forma di goccioline che le api raccolgono e trasformano in miele .
Esistono molti tipi di miele di melata; in Umbria il più diffuso è quello di quercia, dal sapore forte, di colore bruno tendente all’ebano.

 

 

 

 

zafferano

zafferano

Lo zafferano era molto diffuso tra i popoli antichi. Questa spezia dall’aroma unico ed inebriante aveva diversi significati, simboleggiava l’amore infelice in ricordo del mito del giovane Crocos innamorato della ninfa Smilax ed evocava simboli opposti. Il suo uso era vario: veniva usato per colorare le vesti, per preparare unguenti e profumi, per tingere le bende delle mummie egiziane. L’uso dello zafferano anche in cucina si fa risalire all’epoca medievale e rinascimentale, quando cominciò ad essere utilizzato per colorare ed aromatizzare i cibi. Esso infatti conferisce al cibo un gusto ed un aroma particolarmente intenso, oltre al caratteristico colore giallo ocra. La produzione di zafferano in Umbria è testimoniata a partire dal XIII secolo, Castel della Pieve (Città della Pieve) era considerata la zona di produzione maggiormente rilevante, mentre la Valnerina inizia ad essere menzionata da fonti storiche dal XV secolo. Nel XVI secolo Cascia si impose come uno dei centri più attivi nel commercio di questa spezia, adoperata principalmente per l’uso tintorio e poi per quello farmaceutico e cosmetico. Nel Seicento si assiste invece al progressivo abbandono della coltura e solo da pochi anni è stato possibile registrare un rinnovato interesse per la sua coltivazione. In particolare negli ultimi anni un gruppo di coltivatori ha reintrodotto la zafferano in Valnerina ed in alcuni comuni della dorsale Appenninica tra Gualdo Tadino e Spoleto, dando l’avvio alla creazione di nuovi consorzi di produttori.

 

torcolo_san_costanzo

torcolo di S. Costanzo

Dolce tipico della zona di Perugia dalla classica forma a ciambella con incisione pentagonale a indicare, secondo la tradizione, le cinque porte di Perugia). Il Torcolo di San Costanzo è stato creato in onore di San Costanzo, patrono di Perugia, condannato alla decapitazione. E’ nato come dolce povero, preparato con ingredienti semplici e facilmente reperibili; l’impasto di base, infatti, veniva preparato con la pasta del pane.
Sull’origine della sua forma a ciambella esistono varie versioni:
a) si dice che il buco rappresenti il collo decapitato del Santo;
b) si dice che la forma a ciambella rappresenti la collana del Santo ricca di pietre preziose (da qui il cedro candito), che
si è sfilata al momento della decapitazione;
c) si dice sia stato fatto con il buco semplicemente per poterlo infilare facilmente nei bastoni per trasportarlo alle fiere
o ai mercati.
(Dalle interviste ai produttori: Carla Shucani (Sandri); Mario Lupi (Lupi); Gianfranco Alunni (Alunni).

Ingredienti: (dalla ricetta dell’Accademia Italiana della Cucina di Perugia): farina di grano tenero, acqua, lievito (la ricetta originale prevede l’utilizzo del “lievito acido”, un lievito naturale ottenuto dalla fermentazione di farina e acqua; tuttavia, la ricetta consente l’utilizzo o l’aggiunta di lievito di birra), olio extra vergine di oliva, zucchero, uva passa, vero candito di buon cedro candito (colore verde, sapore adeguato), pinoli, semi di anice. Lavorazione: si impastano farina, acqua e lievito; lievitazione dell’impasto, detto “biga”, a temperatura media e costante per circa 3-4 ore, in contenitori di plastica coperti; quando l’impasto ha raddoppiato il suo volume, si aggiungono: zucchero, uva passa, cedro candito a cubetti, pinoli, anice e olio extra vergine di oliva; si lavora ancora l’impasto fino a renderlo omogeneo e, si formano delle ciambelle praticando su ognuna di esse cinque incisioni diagonali, che rappresentano le cinque porte di Perugia. Le ciambelle vengono poi collocate su teglie da forno e infornate per circa 30 minuti.
Il prodotto fresco va conservato ad una temperatura di circa 6°/8° C per 2/3 giorni al massimo.